Intellettuali al servizio della censura
Nelle ore più buie della vaccinazione di regime, quando migliaia di persone che si erano rifiutate di prendere il farmaco della Pfizer rimanevano senza stipendio, venivano discriminate negli ospedali, espulse dalla vita sociale e scansate come appestati, loro sono rimasti zitti. Per conformismo, codardia o adesione al regime sanitario. Gli intellettuali, gli scrittorii, i registi del cinema d’autore. Dalle stanze chiuse dei loro latifondi culturali dove si respira aria stantia e conformismo, non è giunta una sola parola di protesta. Tutti muti.
Da quando è iniziato il conflitto in Ucraina non c’è stato un solo rappresentante dell’intellighenzia progressista che abbia avuto l’ardire di azzardare una lettura critica diversa da quella dettata dai media. Hanno svolto il compitino seguendo scrupolosamente le linee guida del potere dominante che prescrive di alzare la voce contro i putiniani, categoria nella quale hanno infilato chiunque abbia un briciolo di onestà intellettuale in più di loro nell’affrontare la faccenda. Il mondo sta sull’orlo di una guerra nucleare e questi intellettuali della lana caprina parlano di ?, gender e licenze poetiche rimodulate per insultare los fascistas, che poi sarebbe chiunque non la pensa come loro. Ricordano, nell’insieme, gli apparatchik del regime sovietico o i pionieri della Germania dell’est, sempre pronti a correre in soccorso del potere, sempre pronti a definire fascista chi metteva in discussione la verità divulgata dal governo scientifico materialista.
Solo che la loro azione è più subdola. Il compito di un intellettuale dovrebbe essere quello di fare chiarezza, a sé stesso innanzitutto, o per lo meno provarci. Questi invece giocano con il termine potere, nascondendone la vera natura per indicare a un popolo narcotizzato l’ombra (del potere) proiettata sullo lo schermo della caverna. La situazione diventa tragicomica quando si considera che in trent’anni di regressione neoliberista della sinistra europea, questi scrivani da cancelleria di partito non sono riusciti a emettere nemmeno un pigolio di critica. Tutti zitti in difesa delle rispettive rendite culturali, attenti a non perdere posizioni di potere, a non inimicarsi l’editore importante. In fin dei conti chissenefrega, verrebbe da dire, se non fosse che i don Abbondio della cultura la menano a tutti con il loro moralismo d’accatto. Sui migranti innanzi tutto, guardandosi bene dall’interrogarsi sulle cause che spingono tanti esseri umani ad abbandonare i propri paesi ma dando una lettura semplicistica ed esclusivamente morale del fenomeno, che punta tutto sui sensi di colpa, come fa la Chiesa. E poi sull’eterno ritorno del fascismo, sulla programmazione neolinguistica tramite la quale provano goffamente a manipolare il linguaggio per imporre il loro dogma, e naturalmente sulla svolta green con i loro nuovi eroi, i bimbiminkia che imbrattano opere d’arte e s’incollano all’asfalto rendendo stupida una protesta che meriterebbe più intelligenza. Non una parola invece sugli aumenti osceni dei prezzi dei beni primari, sull’inflazione gonfiata dalle sanzioni contro la Russia, sulla corruzione di una commissione europea che stipula contratti miliardari con Big Pharma rifiutandosi di mostrarli all’opinione pubblica, che da parte sua si guarda bene dal richiederli. Naturalmente nessuna delle loro “lotte” dà fastidio a chicchessia perché mancano tutte clamorosamente il bersaglio; per scelta, mira sghemba o incapacità di analisi.
Una bella prova dell’adesione incondizionata al potere da parte di questi sedicenti intellettuali, sono le mancate reazioni alla censura che continua a subire il documentario l’Urlo di Michelangelo Severgnini. Un lavoro che ha il merito di far parlare direttamente i migranti schiavi in Libia raccontando un punto di vista trascurato dai media. Ma dal momento che le cose dette da queste persone non piacciono agli apparatchik di regime, i solerti maggiordomi delle lettere hanno provveduto ad anticipare i desideri del potere raddoppiando la censura invece di denunciarla.
Nel saggio “Impero” di ormai vent’anni fa, Michael Hard & Toni Negri si domandavano “che cosa accadrebbe se scoprissimo che le forme moderne del potere che la critica postmoderna e postcolonialista hanno descritto e decostruito, hanno le armi spuntate? Che cosa accadrebbe se si comprendesse che questi intellettuali, così occupati a combattere i residui di forme passate di dominio, non hanno alcuna cognizione delle minacce che le attuali forme di potere fanno pesare su di noi? Che cosa accadrebbe se ci si rendesse conto che i poteri dominanti sono mutati in modo tale da depotenziare la carica della critica postmodernista e postcolonialista? In definitiva cosa accadrebbe se si comprendesse che un nuovo paradigma di potere, una sovranità postmoderna, ha già sostituito il paradigma moderno e domina quelle stesse soggettività frammentarie e ibride tanto care al postmodernismo?”
Accadrebbe esattamente quello che a cui assistiamo oggi: una fila di struzzi con la testa infilata nella sabbia, convinti di stare dalla parte giusta della storia mentre il culo scoperto batte al vento come un panno sporco.