La coalizione dei "volenterosi" e la variabile (impazzita) polacca

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La coalizione dei "volenterosi" e la variabile (impazzita) polacca

 

di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

Ormai da anni andiamo spiegando che, purtroppo, non vi è alcuna possibilità che il conflitto nell'est europeo si concluda con l'eventuale capitolazione del regime di Kiev. Questo può essere affermato con ragionevole certezza in considerazione di innumerevoli ragioni. Innanzitutto i motivi di fondo che hanno fatto deflagrare il conflitto – sarebbe forse più corretto dire, che hanno spinto Washington  a farlo deflagrare – sono ancora tutte irrisolte. Mi riferisco, chiaramente, al profondo squilibrio commerciale tra l'Europa e gli USA che vedono questi ultimi soccombere nei mercati mondiali di fronte alla ipercompetitività europea. Il profondo rosso dei conti con l'estero di Washington che sta portando – lentamente ma inesorabilmente – all'abbandono del dollaro da parte di molti investitori internazionali, a partire da quelli appartenenti ai BRICS (mi riferisco in particolare a Cina, Russia, Arabia Saudita e EAU).

Non basta. Tra i nodi che inesorabilmente verrebbero al pettine con la capitolazione di Kiev vi sarebbe la giustificazione dei costi devastanti delle suicide sanzioni imposte dall'Europa alla Russia. L'impossibilità di giustificare questi costi da parte delle élites europee di fronte alle proprie opinioni pubbliche spinge inesorabilmente verso la continuazione del conflitto per allontanare il più possibile il redde rationem

Non possono essere poi sottovalutate queste ulteriori variabili: il fatto che solo piegando la Russia, e dunque con un regime change al Cremlino, l'Europa potrebbe riottenere condizioni accettabili per l'approvvigionamento delle materie prime dalla Russia, e il fatto altrettanto importante che una capitolazione ucraina e conseguentemente della Nato porterebbe al quasi certo collasso dell'Alleanza Atlantica.

Tutte variabili, queste, che lasciano presagire la continuazione della guerra, a qualsiasi costo. In questa logica, infatti, vanno lette le dichiarazioni di Macron che spinge per l'abolizione di qualsiasi linea rossa della Nato nel conflitto ucraino, compresa quella dell'invio di truppe. Almeno dal punto di vista ufficiale, perché ufficiosamente è ormai di dominio pubblico il fatto che le truppe Nato in territorio ucraino (e spesso direttamente sulla linea del fronte) sono già presenti. Si tratta spesso di specialisti addetti alla gestione di sistemi d'arma estremamente complessi e necessitanti di personale addestrato per lunghi anni (pensiamo ai sistemi antiaerei Patriot, o ai missili Storm Shadow) ma anche di apparenti mercenari in realtà finti congedati dai ranghi degli eserciti dei paesi Nato e mandati “senza mostrine” a combattere contro i russi.

Peraltro a disvelare la presenza di militari Nato in Ucraina sono stati prima il cancelliere tedesco Scholz in una intervista e successivamente, a ribadire il concetto ci ha pensato il neo insediato Ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski  durante una conferenza stampa.

Posto che questo tiro incrociato di dichiarazioni provenienti dalle capitali europee ha come primario scopo – a mio modo di vedere – quello di creare un effetto rana bollita nei confronti delle opinioni pubbliche europee le quali, piano piano, si abitueranno a considerare prima plausibile e ragionevole, e poi inevitabile l'invio di militari Nato in Ucraina, va anche detto che si possono intravvedere altri movimenti politici.

Certamente, ciò che possiamo dedurre è che sta prendendo sempre più forma quella coalizione di volenterosi europea disponibile ad entrare in armi nel paese ex sovietico. A farne parte, a leggere le dichiarazioni, saranno la Francia, i tre paesi baltici e molto probabilmente la Cechia. 

Peculiare invece la posizione della Polonia, paese certamente fondamentale in questa vicenda, visto l'appoggio - storicamente accertato - dato dal governo polacco ai rivoltosi di Majdan che hanno portato Kiev nell'orbita occidentale. Se all'inizio del conflitto Varsavia è stata prodiga di aiuti anche militari nei confronti dell'Ucraina e addirittura si è arrivati a firmare un trattato bilaterale tra Varsavia e Kiev che è quasi una unione di fatto tra i due paesi. Con il tempo, tuttavia, i rapporti si sono incrinati a causa delle enormi proteste poste in essere dai cittadini polacchi per i troppi profughi trasferitisi nel paese, nonché dagli agricoltori che soffrono la concorrenza dei prodotti agricoli polacchi a basso costo.

Ciò non significa però che nel conflitto la Polonia sia fuori gioco: innanzitutto abbiamo assistito ad un poderoso incremento delle spese militari polacche ormai arrivate al 4% del Pil, con l'acquisto di tank, missili e cacciabombardieri dagli USA e da altri paesi alleati. Un riarmo che non può essere ascrivibile alla semplice volontà di fare la voce grossa e flettere i muscoli. Siamo ben oltre a queste cose quando si parla di spese militari che raggiungono le cifre iperboliche delle quali si parla: stiamo, con ogni evidenza, parlando di riarmo con finalità di partecipare ad un conflitto armato.

Altro segno inequivocabile che la Polonia sia pienamente partecipe di questa partita mortale è il fatto che, proprio in questi giorni, il Sejm polacco ha approvato la sospensione del Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (Trattato CFE). Una iniziativa che è stata sciaguratamente sostenuta da ben 435 deputati su 440, numeri da regime totalitario, o se si preferisce da “decisione irrevocabile” già presa...

Il Ministero degli Esteri polacco, commentando la sospensione del Trattato CFE, ha inoltre sottolineato che il Paese sta "sospendendo il Trattato CFE in modo completo per quanto riguarda tutte le sue disposizioni e per un periodo di tempo indefinito", ciò anche per quanto riguarda le disposizioni relative alle restrizioni sull'Esercito Polacco. Segno che l'accumulo di armi nel paese continuerà senza soste e che anzi, verrà incrementato.  Lo stesso presidente polacco Duda, in visita negli Stati Uniti, ha rilasciato una serie di dichiarazioni bellicose all'agenzia Bloomberg: “Se Putin vincesse il conflitto ucraino, attaccherebbe di nuovo. Attaccherà altri Stati”. Per questo Duda ha chiesto  esplicitamente agli alleati della Nato di “fermare, bloccare, punire” Vladimir Putin. Parole eloquenti su ciò che ci attende.

Rimane da verificare solo, se nei piani della Nato la Polonia dovrà confrontarsi con la Bielorussia o se – come è probabile – dovrà attaccare la confinante enclave russa di Kaliningrad, la vecchia Prussia Orientale ovvero la spina nel fianco della Nato da cui i russi potrebbero lanciare missili Iskander (anche eventualmente con testata nucleare) e raggiungere in pochissimi minuti sia Berlino, che Varsavia, che Bruxelles.

Se per due anni abbiamo camminato, come dei sonnambuli, senza renderci bene conto di dove stavamo andando, ora siamo sul ciglio del burrone con occhi apertissimi.

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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