La crisi nel Corno d’Africa

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La crisi nel Corno d’Africa

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di Paolo Arigotti

“Il Parlamento etiope ha prorogato di 4 mesi lo stato di emergenza dichiarato ad agosto per rispondere a un'insurrezione nella regione settentrionale di Amhara, che ha provocato centinaia di morti e scatenato accuse di diffuse violazioni dei diritti umani”. Così scriveva[1], ai primi di febbraio, L’Avvenire, quotidiano della CEI. La conflittualità segue quella nel Tigray, una guerra civile prima ancora che etnica[2], conclusa con gli accordi di Pretoria del novembre del 2022, costata la vita a decine di migliaia di persone; in quel contesto, almeno in una prima fase, avevano combattuto anche le milizie nazionaliste Fano, le stesse che oggi si scontrano col governo di Addis Abeba nell’Amhara, accusato di non tutelare efficacemente la sicurezza della regione. Le milizie FANO riuniscono l’omonimo gruppo etnico degli Amhara, e sono più volte apparse nella storia nazionale, pur non avendo un'organizzazione centralizzata.

E non è l’unico fronte che potrebbe aprirsi nel tormentato Corno d’Africa.

L’Etiopia rischia lo scontro anche con la vicina Somalia - dove la nazione africana ha schierato da tempo un proprio contingente antiterrorismo composto da circa duemila uomini[3] - che contesta il recente accordo siglato da Addis Abeba col Somaliland.

L'Etiopia, allora guidata dal premier Meles Zenawi del TPLF[4] (rimasto al potere dal 1991 al 1993), era intervenuta in Somalia già nel 2006, contro le Corti Islamiche, ufficialmente per antiterrorismo, ma di fatto per impedire che il paese ritrovasse sotto di esse l'unità nazionale. Dalla presenza etiopica, in intelligenza con gli USA, sorsero poi gli al-Shabaab, un gruppo di jihadisti di fede sunnita. Successivamente gli etiopi si ritirarono.

Tornando all’intesa siglata a inizio gennaio di quest’anno col Somaliland, il governo dell’Etiopia, guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, apriva a un possibile futuro riconoscimento dell’autoproclamato stato, corrispondente più o meno all’ex Somalia Britannica, in cambio del tanto auspicato sbocco al mare, che l’Etiopia perse quando l’Eritrea conquistò l’indipendenza nel 1991. In effetti, quest’ultima conseguì quell’anno la propria indipendenza de facto, con la conquista da parte del FPLE[5] di tutto il territorio, oltre alla liberazione della stessa Addis Abeba, che raggiunse con altre forze etiopiche poco dopo la liberazione di Asmara (Menghistu, il “negus rosso”, nel frattempo era già fuggito dal paese, e il suo governo cadde con l'arrivo della coalizione guidata dagli eritrei). In base a un accordo firmato tra le nuove forze che guidavano il paese e l'ONU, nel 1993 fu indetto un referendum per formalizzare l'indipendenza eritrea, proclamata ufficialmente il 24 maggio, giorno in cui, due anni prima, le truppe del FPLE erano entrate ad Asmara, dopo aver scacciato le forze fedeli al deposto dittatore Menghistu.

Se finora Addis Abeba si è avvalsa, per i propri traffici commerciali, del porto di Gibuti, i costi sono divenuti sempre più insostenibili per una delle nazioni più povere e indebitate del continente nero, che si trova a dover pagare al minuscolo vicino una cifra stimata in 1,5 miliardi di dollari all’anno.

Quello di inizio anno non è stato il primo accordo del genere col Somaliland: nel 2018 l’Etiopia aveva sottoscritto un’intesa analoga, concernente il porto di Berbera, naufragata per via dell’impossibilità etiope di darvi attuazione; ulteriori opzioni, non andate a buon fine, si erano indirizzate verso Sudan e Kenya. Ora all’Etiopia potrebbero essere concessi venti chilometri di terra lungo la costa del Golfo di Aden, nel territorio sovrano del Somaliland, per un periodo minimo di 50 anni, in cambio di un controvalore in azioni dell’Ethiopian Airlines.

Il problema è che l’indipendenza del Somaliland, separatosi dalla Somalia nel 1991, non è riconosciuta a livello internazionale da nessuno stato, dall’Unione Africana (UA) e tantomeno dall’Onu, ragion per cui la Somalia considera tali accordi, e specialmente le clausole che ne prevederebbero il riconoscimento formale da parte di Addis Abeba - delle quali aveva parlato il presidente del Somaliland, Muse Bihi Abdi - un atto di aggressione e una violazione della propria sovranità

Il 6 gennaio il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha posto la sua firma su un disegno di legge che annulla l’accordo preliminare col Somaliland: chiaramente si tratta di un atto simbolico, ma che assume valenza internazionale e la dice lunga sulle tensioni che si stavano accumulando. La posizione di Mogadiscio ha ricevuto il sostegno di Lega araba e Unione Europea, oltre che di Stati Uniti e Gran Bretagna, desiderosi di scongiurare una nuova escalation nella regione; tra gli altri, è arrivato l’appoggio del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi e quello dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad, oltre che della Turchia, della Cina, della Russia, e di quasi tutti gli Stati Arabi ad eccezione degli Emirati Arabi, così come dei paesi limitrofi, in primo luogo Eritrea, Gibuti e Sudan (N.B. Etiopia ed EAU sostengono le milizie ribelli delle RSF contro il legittimo governo sudanese, anche ai fini di procurarsi un accesso al mare locale).

Nel tentativo di troncare le tensioni sul nascere, in occasione del 42esimo vertice dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), organizzazione internazionale politico-commerciale che riunisce i paesi del Corno d'Africa, tenutosi in Uganda a metà gennaio, i partecipanti hanno insistito affinché ogni accordo debba avere il placet del governo federale della Somalia, il solo legittimato a sottoscriverlo.

Nel frattempo, Mogadiscio ha richiamato il suo ambasciatore in Etiopia, ufficialmente per consultazioni, invitando le istituzioni internazionali a obbligare Addis Abeba a recedere dall’accordo con tutti i mezzi legali disponibili; allo stesso tempo, il governo somalo ha espulso l’ambasciatore d’Etiopia, mentre è prevista a breve la chiusura del consolato etiope nel Somaliland.

Tuttavia, il premier Abiy Ahmed non sembra disposto a cedere tanto facilmente, ripetendo che un paese che entro il 2050 avrà circa 200 milioni di abitanti necessita di uno sbocco al mare, pur ribadendo l’impegno del suo governo a non attentare alla sovranità delle altre nazioni del Mar Rosso: in un recente discorso televisivo alla nazione ha garantito che “l’Etiopia non perseguirà i propri interessi attraverso la guerra, ma si impegnerà per l’interesse reciproco attraverso il dialogo e la negoziazione”.

Lo scoppio di una nuova guerra potrebbe avere conseguenze devastanti, specie per la popolazione civile. Secondo il World Report 2024 elaborato da Human Rights Watch, le guerre in Sudan ed Etiopia sono state caratterizzate da violazioni dei diritti umani e abusi di ogni genere, oltre ad avere causato la distruzione di innumerevoli abitazioni e infrastrutture civili, e più di un milione di sfollati. Il problema è che come si legge nel rapporto: “In tutto il Corno d’Africa, le vittime di gravi abusi e le proprie famiglie, insieme agli attivisti, hanno chiesto ripetutamente protezione civile, risarcimento per le violazioni e responsabilità per i responsabili, compresi coloro in posizioni di potere”, ma “Le organizzazioni internazionali e regionali e i governi influenti hanno deluso profondamente i bisognosi con il loro approccio poco brillante ai diritti umani e alle crisi umanitarie in corso” [6].

A rimescolare ulteriormente le carte, è giunta ai primi di aprile la notizia[7] di nuovo accordo marittimo tra Somalia e Turchia, nazione già da tempo impegnata con la sua marina nelle acque territoriali del paese africano e nel golfo di Aden, che nella sostanza affiderebbe ad Ankara la protezione del mare somalo per i prossimi dieci anni. La Somalia non dispone di una vera e propria marina militare, nonostante gli oltre tremila chilometri di costa, nei cui pressi sono state scoperte importanti risorse minerarie, che con ogni probabilità saranno la contropartita - si parla di un 30 per cento delle entrate derivanti dalla zona economica esclusiva - per i servizi di sicurezza garantiti dai turchi, che oltretutto rafforzerebbero così la loro influenza nella regione.

E non c’è solo la Somalia a esprimere preoccupazioni, visto che pure la vicina Eritrea ha rilasciato, per voce del ministero dell’Informazione, una dichiarazione con la quale definiva “eccessivi” i discorsi del premier etiope (mai smentiti)[8] circa la necessità per il suo paese di disporre di un accesso al mare. Il TPLF, responsabile della guerra contro l'Eritrea quando governava l'Etiopia[9], lancia accuse contro Asmara di occupare parte dei territori del Tigray, che invece la commissione incaricata di disegnare i confini (EEBC) ha riconosciuto fin dal 2002 come eritrei.

Tra le ragioni che potrebbero impedire una soluzione negoziale tra le parti coinvolte, ci potrebbe essere il desiderio del premier etiope di riavvicinarsi agli Stati Uniti, dopo l’espulsione dall’Agoa, l’accordo commerciale tra Africa e America, inflitta alla nazione africana per effetto del conflitto civile nel Tigray, che egli potrebbe sperare di ottenere rimarcando le distanze da Asmara, considerata sempre più vicina a Mosca e Pechino[10].

Se da un lato è verissimo che l’Eritrea ha già siglato diversi accordi con Pechino nei settori agricolo, minerario, ittico e infrastrutturale, e che nel 2021 ha deciso di entrare nella Nuova Via della Seta, oltre ad aver stipulato intese militari con Mosca, è altrettanto vero che proprio l’Etiopia, dallo scorso primo gennaio, ha fatto il suo ingresso nei BRICS, oltre che far parte a sua volta della Nuova Via della Seta.

In definitiva la spiegazione, e le apparenti contraddizioni, risultano meno ostiche di quel che potrebbe sembrare. Addis Abeba è consapevole che il proprio sostentamento dipende ancora molto da Washington (vedi dipendenza da USAID e indebitamento con istituti esteri, soprattutto americani), ma allo stesso tempo non può ignorare come l’approccio russo e cinese siano sempre più apprezzati in Africa, e non solo. A favore di Mosca e Pechino milita sicuramente l’assenza di un passato coloniale e imperialista, ma soprattutto la loro “… policy di non interferenza nella politica interna del Paese che li ospita. Una filosofia diversa da quella paternalistica e moralizzatrice che l’Occidente ha finora praticato, ossia voler dettare l’agenda politica ed economica di un qualsivoglia Paese solo perché gli ha regalato un chilo di farina.” [11]

La possibilità di un accordo tra Etiopia ed Eritrea non può essere esclusa, il che aprirebbe nuovi scenari anche nei rapporti con la Somalia, ma non si può non tener conto del fatto che al momento attuale i rapporti tra le due nazioni non sono buoni, anche perché, a parte le ultime vicende, Asmara non ha gradito la condiscendenza degli etiopi verso gli inviati americani (in particolare Mike Hammer, il capo delegazione a stelle e strisce per il Corno d’Africa) e gli accordi di Pretoria, giunti proprio nel momento in cui gli eritrei stavano per avere la meglio sui capi del TPLF.

Giova, però, rammentare che dopo l’indipendenza Asmara aveva continuato a garantire l’accesso ai suoi porti al vicino, fin quando i due stati non erano entrati in guerra (1998-2000), episodio che costrinse Addis Abeba a ripiegare su Gibuti. Le due nazioni si erano successivamente riavvicinate, tanto che il premier Abiy, nel 2019, si era visto assegnare il premio Nobel per la pace per il suo approccio con l’Eritrea; quale segnale di questo peggioramento delle relazioni tra i due, Asmara ha opposto un netto rifiuto all’ipotesi di aiutare Addis Abeba contro i FANO[12].

La mossa del capo di governo etiope col Somaliland rischia di rimettere in discussione molti equilibri della regione, magari nell’illusione che tutti gli attori esterni più importanti – a cominciare da Russia e Stati Uniti – siano impegnati in altri teatri: ma si tratta di una scommessa pericolosa, che potrebbe rischiare di far scoccare la miccia di un nuovo conflitto regionale.

Per il Corno d’Africa una speranza di pace potrebbe arrivare proprio dal rafforzamento dell’influenza russa e cinese che, nonostante i nuovi aiuti promessi all’Etiopia anche dall’Italia[13], sembra inarrestabile. È noto che Pechino promuova intese di pace, non certo per benevolenza, ma per perseguire i propri interessi economici e strategici. E se questa politica aprisse a  nuovi orizzonti di pace e collaborazione, che prendessero il posto del consueto approccio paternalistico dell’Occidente, regalando prospettive di sviluppo ai popoli africani, potrebbe valere la pena di esperire un tentativo.

La conferma di questa lettura potremmo intravvederla in un’analisi condotta dall’Institute for Defense Analyses[14], ripresa dall’Intercept[15], dove si legge, tra le altre cose, che la “guerra americana nel Corno d'Africa era stata afflitta dall'incapacità di definire i parametri del conflitto o i suoi obiettivi; un'enfasi eccessiva sulle misure militari senza una chiara definizione della strategia militare ottimale; e barriere al coordinamento tra l’esercito e altre agenzie governative come il Dipartimento di Stato e alleati locali come il governo somalo […] Dopo più di 20 anni di sforzi statunitensi, i parametri del Pentagono mostrano che la guerra americana nella regione non è mai stata portata avanti in modo efficace, rimane in una situazione di stallo o peggio, ed è stata particolarmente rovinosa per i somali.”

E se già nel 2016 James Dobbins, ex diplomatico americano e inviato speciale in Afghanistan per George W. Bush e Barack Obama, diceva che: “Non invadiamo i paesi poveri per renderli ricchi […] Non invadiamo i paesi autoritari per renderli democratici. Invadiamo paesi violenti per renderli pacifici e in Afghanistan abbiamo chiaramente fallito”, questo la dice lunga sulla fiducia che certe nazioni potrebbero decidere di riporre nel cosiddetto Occidente.

A questo punto, dopo due decenni di conflittualità devastanti, visto e considerato che la sicurezza e la stabilità sono state scarse per i popoli del Corno d’Africa, con morte e distruzione in aumento, per non parlare degli indici di sviluppo umano ed economico, potremmo seriamente biasimare chi scegliesse altre strade, e soprattutto altri partner?

 

FONTI

“Daniel Wedi Korbaria: tutte le fake news sull'Africa che circolano in Occidente” - youtu.be/fk_iVMDZeB4?si=0T19_KIJiWBR-NWp

“Filippo Bovo: l'Etiopia potrebbe essere il granaio dell'Africa” - youtu.be/2_zovL_u4iQ?si=GEXZqRqjeUtjbE8_

shabait.com/

www.voanews.com/a/tensions-escalate-between-somalia-ethiopian-over-au-summit-incident-/7494152.html

www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_tplf_scatenano_la_guerra_in_etiopia/82_38135/

www.lantidiplomatico.it/dettnews-le_infinite_menzogne_delloccidente_hanno_minato_la_sua_credibilit_in_africa/39602_53869/

www.lantidiplomatico.it/dettnews-corno_dafrica_e_immigrazione_cosa_cambia_con_la_fine_dellera_dei_tplf/39602_47896/

www.eritreaeritrea.com/

www.mediacomunitaeritrea.it/guerra-2-0-rifugiati-al-posto-dei-proiettili/

thecradle.co/articles/somalia-grants-turkiye-defense-rights-in-historic-maritime-deal

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lenuoveviedelmondo.com/blog-detail/post/216424/tra-alleanze-dirette-ed-indirette-parallele-ed-asimmetriche:-la-complessa-partita-del-mar-rosso

lenuoveviedelmondo.com/blog-detail/post/216448/tra-occidente-brics+-incendi-e-sabotaggi:-il-mar-rosso-ma-non-solo

lenuoveviedelmondo.com/blog-detail/post/220004/il-corno-dafrica-dopo-lo-yemen-altro-volto-del-fronte-meridionale-del-conflitto-israelo-palestinese

lenuoveviedelmondo.com/blog-detail/post/219981/conflitto-israelo-palestinese:-yemen-e-corno-dafrica-i-due-volti-del-fronte-meridionale

[1] www.avvenire.it/mondo/pagine/etiopia-amhara

[2] www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_tplf_scatenano_la_guerra_in_etiopia/82_38135/

[3] www.limesonline.com/rubriche/il-mondo-oggi/il-mondo-questa-settimana-russia-etiopia-somalia-ecuador-coree-14867856/

[4] Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè

[5] Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo.

[6] www.sicurezzainternazionale.com/africa/perche-laccordo-tra-etiopia-e-somaliland-per-accesso-al-mar-rosso-crea-tensioni-nel-corno-dafrica/; www.sicurezzainternazionale.com/africa/etiopia-assicura-di-non-avere-alcun-piano-di-invasione-per-accesso-ai-porti-del-mar-rosso/

[7] www.notiziegeopolitiche.net/la-geopolitica-dei-porti-del-corno-dafrica/

[8] hornobserver.com/articles/2359/Ethiopian-PM-Abiy-Ahmed-unveils-plans-to-secure-port-access-by-negotiation-or-by-force

[9] Tra il 1998 e il 2000, e che dopo essere andato all'opposizione nel 2020 ha fomentato la secessione del Tigray dall'Etiopia, perdendo nel 2022, e firmando un accordo di smilitarizzazione, intesa che l'attuale governo etiopico non porta avanti, preferendo ingraziarsi il TPLF per usarlo nuovamente contro l'Eritrea.

[10] www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3231129/china-and-russia-pursue-eritrea-its-strategic-location-africa-resources-and-transport-potential

[11] www.lantidiplomatico.it/dettnews-le_infinite_menzogne_delloccidente_hanno_minato_la_sua_credibilit_in_africa/39602_53869/

[12] www.sicurezzainternazionale.com/africa/perche-laccordo-tra-etiopia-e-somaliland-per-accesso-al-mar-rosso-crea-tensioni-nel-corno-dafrica/; www.sicurezzainternazionale.com/africa/etiopia-assicura-di-non-avere-alcun-piano-di-invasione-per-accesso-ai-porti-del-mar-rosso/

[13] www.lindipendente.online/2023/06/23/gli-aiuti-umanitari-come-strumento-geopolitico-il-caso-emblematico-delletiopia/

[14] www.ida.org/en/about-ida

[15] theintercept.com/2024/03/07/pentagon-somalia-africa-terrorism-failure/

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