La flessibilità che non esiste

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La flessibilità che non esiste



di Thomas Fazi
 

Oggi alla nomina dei nuovi commissari UE Ursula von der Leyen ha detto che Gentiloni dovrà assicurare «l’applicazione del patto di stabilità, utilizzando appieno la flessibilità permessa all’interno delle regole».


La von der Leyen si riferisce alla clausola relativa alla condizione ciclica dell'economia, che in teoria dovrebbe offrire maggiore flessibilità a un paese laddove venga appurato che il deficit pubblico sia dovuto alla congiuntura economica - e non sia dunque "strutturale" -, nel qual caso potrebbe essere ridotto o eliminato per mezzo di un maggiore tasso di crescita. La premessa è che in condizioni economiche “normali” - qualunque cosa significhi - un deficit è considerato “normale” se non supera lo 0,5 per cento del PIL (il tetto massimo del 3 per cento di deficit nominale stabilito dal Trattato di Maastricht è infatti superato da anni).


Il surreale parametro utilizzato dai tecnici della Commissione per valutare se il deficit sia strutturale o congiunturale è il cosiddetto "output gap", cioè la differenza che, secondo i loro curiosi calcoli, sussisterebbe tra il PIL effettivo di un paese ed il suo "PIL potenziale" (le virgolette sono d'obbligo).


Con quest'ultimo si intende il tasso di crescita massimo del PIL (e il tasso di disoccupazione minimo) che un'economia potrebbe ottenere senza generare spirali inflazionistiche; cioè il PIL che si avrebbe se l'economia stesse operando al "massimo potenziale", sempre secondo le surreali stime della Commissione europea. Un output gap negativo significa che un paese ha margini di manovra per aumentare la crescita e ridurre la disoccupazione senza generare inflazione. Un output gap positivo o vicino allo zero, d'altro canto, significa che un'economia sta operando al di sopra delle proprie capacità e va frenata (con una dose di austerità fiscale, ça va sans dire).


Ora, incredibile ma vero: per l'Italia - un paese in stagnazione da anni, che ha perso il 6 per cento del PIL dall'inizio della crisi e in cui milioni di persone sono disoccupate - la Commissione europea stima per il 2020 un output gap pari al -0,1 per cento (cioè zero). Non a caso, sempre secondo le stime della Commissione, "il tasso naturale di disoccupazione" (anche qua le virgolette sono d'obbligo) - cioè il tasso di disoccupazione sotto il quale non è dato scendere senza provocare fiammate inflazionistiche - per l'Italia è il 10 per cento, cioè il tasso di disoccupazione effettivo.


In altre parole, secondo Bruxelles, l'Italia sta già operando al massimo potenziale; sarebbe a dire che se il tasso di crescita del PIL aumentasse - e la disoccupazione scendesse - avremmo un'inflazione fuori controllo. Indi per cui, non c'è alcun margine, dal punto di vista tecnico, per aumentare il deficit.


Questo ovviamente non esclude che per ragioni politiche la Commissione possa scegliere di allentare un po' la catena, ma questo è un altro discorso. Le regole (assurde) del patto di stabilità - che per la von der Leyen vanno benissimo così come sono -, ed i "margini di flessibilità" da esse concessi, questi sono. Con buona pace di chi ancora sogna di riformare l'irriformabile.

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