La guerra italiana in Libia in un rapporto di Greenpeace

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Lo scorso dicembre Greenpeace ha pubblicato un rapporto dal titolo: “Missioni militari per proteggere gli interessi dell’industria del petrolio e del gas. Come le risorse della difesa europea finiscono per aggravare la crisi climatica”.

Come si legge sin dalle prime righe del rapporto, <<gli Stati membri dell’Unione dipendono fortemente dalle importazioni di energia fossile: circa il 90% del petrolio e il 70% del gas consumato dai Paesi UE arriva da fuori>>.

Leggendo questi dati risulta più chiaro perché l’apertura del gasdotto Nord Stream 2 tra il territorio della Russia e quello della Germania stia portando un’intero continente verso la guerra.

 

L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA PER RISOLVERE I CONFLITTI, MA LA PROMUOVE PER SACCHEGGIARE IL PETROLIO

 

Ma interessante è il capitolo dedicato all’Italia, scritto da Sofia Basso. Così si muove il nostro Paese, come riportato nel rapporto: <<nel 2021 le missioni a sostegno della nostra “sicurezza energetica” costeranno circa 797 milioni di euro, pari al 64 per cento del budget per le missioni militari. Sommando tutte le operazioni “fossili” degli ultimi quattro anni, il ministero della Difesa ha speso circa 2,4 miliardi di euro. E il trend non accenna a diminuire. Anzi, quest’anno c’è stata un’impennata di missioni militari a tutela di fonti energetiche inquinanti. Sempre senza alcuna discussione pubblica sugli interessi che le Forze armate italiane sono chiamate a difendere>>.

 

LA GUERRA PERMANENTE DELL’ITALIA IN LIBIA

 

Dal 2011, dall’aggressione Nato in poi, la Libia è diventata un capitolo aperto di guerra permanente per l’Italia, secondo lo schema proposto dal rapporto di Greenpeace: <<Lo stretto legame tra il dispiegamento militare e gli interessi dell’azienda (ENI) è particolarmente evidente nel caso della missione “Mare Sicuro”: anche se il nome potrebbe evocare il salvataggio dei migranti, la prima “attività” ufficiale dell’operazione è la “sorveglianza e protezione delle piattaforme dell’Eni ubicate nelle acque internazionali prospicienti la costa libica”>>.

E’ proprio quello che noi sosteniamo da anni: salvare i migranti è un pretesto per militarizzare la Libia e il mare mediterraneo al fine di portare a compimento il saccheggio del petrolio libico, quantificato nel 40% del totale estratto ogni anno, come riportato dal NOC (National Oil Corporation).

Tant’è vero che, come prosegue il rapporto: <<La relazione governativa precisa che la missione “assicura con continuità la sorveglianza e la protezione militare alle piattaforme dislocate nelle acque internazionali antistanti le coste libiche, la protezione al traffico mercantile nazionale operante in area”. Tra i compiti della missione, anche quelli connessi alla controversa missione a supporto della Guardia costiera libica, che ogni anno suscita proteste fuori e dentro il Parlamento, ma poi viene immancabilmente approvata>>.

Ma certo! La Guardia Costiera Libica non è mai stata finanziata per respingere i migranti! Armare le milizie e il governo di Tripoli serve impedire che la capitale venga liberata dall’Esercito Nazionale Libico così che il saccheggio del petrolio continui. 

Anzi, i finanziamenti a fondo perduto dell’Italia al governo usurpatore di Tripoli sono tecnicamente la contropartita per il petrolio acquisito sotto banco dall’Italia, come dimostrato dall’inchiesta della procura di Catania “Dirty Oil”.

 

LA MISSIONE IRINI E’ UN’ATTO DI GUERRA

 

Se questo è il quadro, a maggior ragione la missione IRINI, missione militare europea varata nei primi mesi del 2020, a guida italiana, è stata una missione militare attiva volta alla protezione militare degli interessi italiani in Libia.

Ricostruiamo brevemente gli eventi. Nel gennaio 2020, dopo 9 mesi di campagna militare, l’Esercito Nazionale Libico è alla periferia di Tripoli e sta per completare la liberazione della Libia dalle milizie e dai gruppi armati. In fretta e furia viene organizzata la Conferenza di Berlino 1 che promuove 2 linee guida: cessate-il-fuoco ed embargo sulle armi alla Libia. La missione IRINI viene varata a questo scopo, quello di monitorare le coste libiche e prevenire l’ingresso di armi. 

Sennonché la Turchia utilizza questi mesi di tregua per trasferire mercenari (20mila) ed armamenti attraverso ponti aerei. Alcuni mesi più tardi, con la Turchia perfettamente equipaggiata sul campo, inizia la controffensiva e l’Esercito Nazionale Libico viene respinto fuori dalla Tripolitania.

Nel maggio 2021 Richard Norland, ambasciatore americano in Libia, afferma che senza l’intervento militare turco non sarebbe stato possibile difendere Tripoli.

Dunque, se le cose stanno così, l’Italia ha partecipato alla guerra in Libia direttamente, intervenendo a protezione del governo usurpatore di Tripoli e reggendo la candela alla Turchia che nel frattempo armava le milizie di Tripoli attraverso ponti aerei.

 

GESTIONE DEI FLUSSI: DI MIGRANTI O DI IDROCARBURI?

 

Il rapporto infine prosegue: <<il ministro Lorenzo Guerini ha precisato che è “quanto mai importante e necessario mantenere la nostra presenza sul terreno” per essere “pronti, in caso la situazione precipiti, a proteggere i nostri interessi e a tutelare il personale italiano variamente presente nel Paese”>>.

Viene in mente l’ospedale da campo di Misurata, che ospita diverse centinaia di nostri soldati in una città dove la locale milizia, affiliata alla Fratellanza Musulmana, è tra le più militarmente equipaggiate e preparate a difendere gli interessi della Nato contro l’Esercito Nazionale Libico (e la volontà del popolo libico).

<<Interessi che l’Ispi e il Documento programmatico della Difesa identificano nella gestione dei flussi migratori e nella sicurezza energetica: “L’Italia dal punto di vista energetico non può fare a meno del petrolio e del gas libico”. (…) L’obiettivo primario dell’operazione rimane il sostegno al governo di accordo nazionale libico, attraverso l’assistenza sanitaria, la formazione delle forze di sicurezza, l’assistenza nel controllo dell’immigrazione illegale, il ripristino dell’efficienza degli assetti terrestri, navali ed aerei, e l’attività di capacity building>>. 

Si scrive “gestione dei flussi migratori”, ma si legge “gestione dei flussi di idrocarburi”. Ecco a cosa serve la migrazione dall’Africa. Ecco perché 700.000 ragazzini africani sono stati dovuti essere ingannati per essere portati in Libia, gli si è dovuto raccontare che in pochi mesi avrebbero raggiunto l’Europa dove avrebbero trovato un fisso mensile garantito dallo Stato ospitante, per metterli in marcia verso la Libia. Ed ecco perché invece, dopo anni in stato di schiavitù senza possibilità di fuga, la maggior parte di loro stia chiedendo ora di essere riportata a casa.

Ma no, nessun esperto di migrazione sarà mai disposto ad ammetterlo. Come nessun esperto di migrazione ha speso una parola sul fatto che le elezioni libiche, fissate per lo scorso 24. dicembre, alla fine non si sono tenute, perché l’elezione di Saif Gheddafi (dato al 70% dei sondaggi) avrebbe smantellato il sistema di potere in Tripolitania basato sulle milizie che consente il saccheggio del petrolio libico.

 

LA TRIPOLITANIA E’ UN PROTETTORATO DELLA NATO

 

Allora se stanno così le cose, dobbiamo dirlo chiaramente: l’Italia ha dichiarato guerra alla Libia, ha trasformato la Tripolitania in un protettorato in consorzio con gli altri Paesi Nato e la migrazione è una trappola infernale per arrotondare tasche delle milizie, ma soprattutto per gettare fumo negli occhi degli spettatori europei e lasciare che il saccheggio continui indisturbato.

 

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Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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