La precarietà trasformata in "cioccolato" dalla stampa
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Le cose tocca saperle dire in un certo modo, infiocchettarle per bene ed ecco che la merda prende l’aspetto della cioccolata: certo, odore e gusto non saranno gradevoli, ma è un problema che si presenterà in un secondo momento. Intanto qualcuno del PD se la sarà bevuta.
E ti capita di leggere più o meno la stessa notizia, l’11 di aprile, presentata da due testate differenti: la prima è “Proiezioni di Borsa” (il sottotitolo è fantastico: «Testata giornalistica specializzata in news e soluzioni») e, la seconda, è la Repubblica (che, vorrei dire, tutto è tranne che un quoatidiano di rottura della narrazione dominante: eppure, stavolta è apparso quasi reazionario!).
In questa fase della storia del mercato del lavoro il precariato è diventato davvero “pandemico” e, come per quanto accaduto col Covid, le vittime non si devono tanto alla malattia, quanto all’assenza dello stato, alla inadeguatezza della sua azione, alla demolizione del welfare. Il mercato del lavoro è stato completamente “selvaggizzato”, “giunglagizzato”, “macellarizzato”, “westernizzato”: la regola è una sola e chiara, l’ultima regola rimasta in piedi, ed è la più vecchia del mondo: il più forte brutalizza il più debole. Semplice.
La chiamavano flessibilità, flessibilità e sicurezza (flexicurity), tutte balle (e c’è chi le sostiene ancora): in un’arena di interessi contrapposti (al netto della stucchevole retorica del «volemose bene») si è deciso di supportare, di sostenere, la parte più forte, schiacciando quella più debole, quella rappresentata dai lavoratori.
Abbiamo un tasso di contratti precari che fa letteralmente paura: siamo vicinissimi ai massimi storici e a gennaio contavamo circa tre milioni di precari. Persone che, con le loro famiglie, non avranno la possibilità di pianificare alcunché, ma anche ricattabili, esposte alla ritorsione, condannate alla subalternità (io lo chiamo metodo della subalternizzazione) e indotte ad accettare le peggiori condizioni. Non è un caso che nel 2021 abbiamo contato 1221 morti sul lavoro (dati Inail).
Ma oggi tutto è propaganda e viene in mente quanto in tante circostanze si sente blaterale, in occasione ad esempio migliaia di corsi di formazione aziendale: «bisogna trasformare le criticità in opportunità».
E allora la precarietà la puoi raccontare in modo diverso, contrapposto.
La Repubblica te la presenta per quello che è (ovviamente per il semplice motivo che il tema sta diventando, inevitabilmente, mainstream) e ti sottolinea come, tra le nuove assunzioni, 8 su 10 sono instabili, con tutte le conseguenze a cui abbiamo accennato. E, soprattutto, si evidenzia come persino la pubblica amministrazione ci si sia messa d’impegno, in perfetta coerenza col modello di stato neoliberale ormai edificato dinanzi a noi (mentre la sinistra rivendicava e rivendica il diritto dei ragazzi ad andare a scuola con la gonna): concorsi pubblici banditi (in tutti i sensi), che prevedono contratti a tempo determinato e part time. Merda.
Invece, la testata specializzata in notizie «e soluzioni» (stupendo!) infiocchetta il tutto e te lo presenta come cioccolata: volevate essere liberi? Volevate lavorare di meno? Vorreste lavorare e avere il tempo per studiare? Questa è la “soluzione” (appunto)! E chi pensava che la riduzione del tempo di lavoro dovesse essere introdotta a parità di retribuzione, quelli che ritengono che lo studio dovrebbe essere finanziato con una borsa di studio (ormai il diritto allo studio per lo schifo di sinistra di questo paese si chiama DAD): gente del secolo scorso.
È tempo di lottare, le parole stanno davvero a zero.
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Ho scritto “Contro lo smart working”, Laterza 2021 (
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858144442) e “Pretendi il lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi”, GOG 2019 (
https://www.gogedizioni.it/prodotto/pretendi-il-lavoro/)