Lance Henson: il poeta guerriero Cheyenne che compone versi dall’Italia
di Raffalla Milandri per l'AntiDiplomatico
Immaginate un poeta in piedi ai margini delle pianure dell'Oklahoma, con il vento che porta i sussurri degli antenati Cheyenne attraverso le sue parole: una voce che guarisce, sfida e rifiuta di far svanire lo spirito di un popolo. Questo è Lance Henson, un titano della letteratura dei Nativi Americani la cui poesia attraversa secoli e continenti. Nato il 20 settembre 1944 a Washington, Henson è cresciuto vicino a Calumet, in Oklahoma, da nonni che lo hanno immerso nei ritmi della vita Cheyenne - i suoi canti, le sue storie, la sua anima inflessibile. Ora, a 80 anni, la sua ultima opera, Impronte (2024), raccoglie 54 anni di poesie in un manifesto della sua arte e del suo attivismo, un libro che pulsa con il battito del cuore del suo popolo e della sua lotta per la sopravvivenza - dalla sua casa adottiva in Italia.
La vita di Henson è un arazzo di contrasti. Veterano della guerra del Vietnam, ha prestato servizio nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti ed è anche membro della Cheyenne Dog Soldier Society, un ordine tradizionale di guerrieri. Tuttavia, le sue battaglie più feroci sono combattute con le parole. Con oltre 50 volumi di poesie tradotte in 25 lingue, si è guadagnato il titolo di “più importante poeta Cheyenne attualmente in scrittura”. Il suo stile - scarno, minuscolo, senza punteggiatura - riecheggia la cadenza orale dei canti Cheyenne, riducendo il linguaggio alla sua essenza. Dal suo esordio, Keeper of Arrows (1971), scritto in una caserma dei Marines, all'ampio Impronte - Imprints, Henson intreccia temi di sacralità della natura, di profondità spirituale e di critica serrata al materialismo e al potere. La sua è una poesia che non si limita a cantare, ma chiede di essere ascoltata.
Ma l'eredità di Henson va oltre la pagina: è un guerriero per i diritti degli indigeni, una voce che ruggisce dove altri sono stati messi a tacere. Il suo attivismo è vitale quanto i suoi versi, radicati in un profondo legame con la sua eredità Cheyenne (Tsitsistas) e in una spinta incessante a difendere i popoli nativi. Nel 1988 è salito sul palcoscenico mondiale delle Nazioni Unite a Ginevra, rappresentando i Cheyenne meridionali durante i negoziati sui diritti dei nativi. Lì ha parlato a nome di una nazione privata della terra e della voce, affrontando i leader mondiali con il fuoco tranquillo di un poeta che conosce il peso della storia. La sua poesia è diventata un'arma, denunciando il furto di territori sacri, l'avvelenamento dei fiumi e l'avidità sistemica che ha soffocato la sovranità dei nativi per secoli. “I sistemi del denaro e del potere”, scrive, ‘seppelliscono ciò che non possono possedere’, un verso che attraversa il tempo fino alle nostre crisi attuali.
Negli anni '70, si è schierato con l'American Indian Movement (AIM), un movimento di base contro le politiche degli Stati Uniti che devastavano le comunità native - si pensi a Wounded Knee, alla rottura dei trattati. Ha marciato per i diritti alla terra, ha protestato contro le cicatrici degli oleodotti che attraversano i terreni sacri e ha usato la sua penna per amplificare la voce di chi non è ascoltato. Ogni anno torna in Oklahoma per la Danza del Sole Cheyenne, una cerimonia di rinnovamento che aiuta a preservare, assicurandosi che le tradizioni del suo popolo non svaniscano sotto il peso della modernità. La sua presenza globale come poeta ospite in oltre 800 scuole, dall'America rurale all'Europa e all'Asia, ha portato avanti questa missione, piantando semi di consapevolezza nelle giovani menti. In Italia, dove ora vive, ha creato un ponte tra le culture, collaborando con artisti e studiosi locali e sostenendo la visibilità degli indigeni in una terra lontana dalle sue pianure.
Impronte - Imprints è il suo coronamento: una celebrazione dei suoi 80 anni, che unisce nuove poesie a rari versi Cheyenne. Eduardo Duran, psicologo junghiano apache, li definisce “canti di medicina”, canti che “ci guidano attraverso l'ombra della morte per recuperare la nostra umanità”. Qui risplendono i temi universali di Henson: il legame dei Cheyenne con la terra, la spiritualità che sfida i dogmi, la critica a un'America costruita sulla conquista e la ricerca di ciò che dura nel tempo. Lance Henson invita i lettori a entrare nel suo mondo, dalla lingua Tsitsistas alla cruda bellezza dell'inglese. La sua poesia è un balsamo curativo per un mondo che si sta sfilacciando, un must per chiunque senta il richiamo di qualcosa di più profondo.
Il percorso di Henson è stato tortuoso. Cresciuto in una fattoria, ha cacciato conigli e ascoltato i racconti degli anziani prima di arruolarsi nei Marines a 19 anni. La guerra lo ha plasmato, ma anche l'istruzione: una laurea all'Oklahoma College of Liberal Arts e un master all'Università di Tulsa hanno affinato il suo mestiere. I suoi viaggi - conferenze a Singapore, in Nuova Zelanda e oltre - hanno diffuso le sue parole a macchia d'olio. Tuttavia, rimane legato alle sue radici, dividendosi tra i tranquilli scenari italiani e la terra sacra dell'Oklahoma. La sua poesia riflette questa dualità: un uomo di due mondi, che parla a tutti.
Oggi, dal suo punto di vista italiano, la voce di Henson taglia il nostro rumore. La sua critica all'avidità riecheggia nei dibattiti sulla sostenibilità; il suo appello all'umanità risuona in un'Europa che lotta con l'identità. La sua ultima opera cattura questa urgenza, un ponte tra il senza tempo e il presente. A 80 anni, non è un anziano che riposa sugli allori: è ancora un guerriero, con la penna affilata e lo spirito intatto. Prendete le sue poesie e ascoltate i canti di medicina di un poeta Cheyenne che ha combattuto per il suo popolo e per tutti noi. Questa non è solo poesia, è un'eredità vivente e un grido di battaglia per un mondo da salvare.