L'autunno caldo che si prospetta e le conseguenze politiche

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L'autunno caldo che si prospetta e le conseguenze politiche



di Domenico Moro - Laboratorio-21
 

I dati macroeconomici ci mostrano, ogni giorno sempre più chiaramente, quanto sia profonda la crisi in atto. La crisi, inoltre, si manifesta in modo diverso nei vari Paesi dell’area euro, allargando il già esistente divario economico tra di essi, in particolare tra la Germania, da una parte, e Francia, Italia e Spagna, dall’altra parte. Nei prossimi mesi la crisi economica non mancherà di influenzare il quadro politico nazionale e europeo che appare già ora sufficientemente instabile. Ma cominciamo con il vedere i dati sulla crisi.

Recentemente la Commissione europea ha diffuso delle nuove previsioni economiche sul Pil che mostrano un quadro peggiorato rispetto alle precedenti previsioni di maggio. Il Pil dell’area euro nel 2020 dovrebbe contrarsi del -8,7%, contro il -7,7% stimato a maggio, mentre la ripresa nel 2021 dovrebbe essere del +6,1% contro il +6,3% previsto a maggio. Tra i vari Paesi dell’area euro quello messo peggio è l’Italia con una flessione del -11,2% nel 2020 e una ripresa nel 2021 del +6,1%. A maggio, per l’Italia, era stato previsto un calo del Pil nel 2020 del -9,5% e nel 2021 una ripresa del +6,5%. In pratica, il rimbalzo del Pil italiano nel 2021 non sarà sufficiente a recuperare la crisi: l’Italia nel 2021 si troverà al -5,8% rispetto al livello del 2019, subendo in questo modo quasi il doppio della contrazione dell’area euro (-3%). A subire le maggiori contrazioni del Pil, dopo l’Italia, sono la Francia (-10,6%) e la Spagna (-10,9%), anch’esse con previsioni peggiorate rispetto a maggio. La flessione del Pil tedesco nel 2020 è, sebbene pesante, quasi la metà di quella italiana (-6,5%).

Un’altra fonte importante è rappresentata dall’indagine che la Banca d’Italia ha condotto sulle condizioni delle famiglie italiane, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Dai dati emerge che già prima della crisi la situazione era tutt’altro che rosea, con poco meno della metà degli intervistati che arrivava alla fine del mese con difficoltà. Negli ultimi due mesi considerati (marzo e aprile), oltre la metà degli intervistati dichiara di aver subito una contrazione del reddito familiare, anche considerando gli aiuti statali ricevuti. Per il 15% la riduzione del reddito è stata di oltre la metà. A essere maggiormente colpiti sono i lavoratori indipendenti, fra i quali circa l’80% ha subito un calo del reddito e il 36% di oltre la metà. Oltre al diffuso calo dei redditi, più di un terzo dei rispondenti dichiara di avere risorse finanziarie per provvedere alle spese di base per non più di tre mesi.

L’ultima fonte è l’Istat, con una indagine riguardante le imprese. Ben il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione con 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza. Il pericolo di chiusura è maggiore fra le micro-imprese (40,6%) e le piccole (33,3%), ma è significativo anche tra le medie (22,4%) e le grandi (18,8%). Tra i vari settori a correre il maggiore rischio di chiusura è quello delle imprese di alloggio e ristorazione (65,2%).

Tutti i dati che abbiamo elencato sono senza precedenti nella storia italiana, a parte il periodo di guerra. Per ora la situazione è congelata dalla cassa integrazione e dal divieto di licenziare. Ma quando la cassa integrazione finirà e le imprese cominceranno a chiudere, la disoccupazione aumenterà enormemente, secondo l’Ocse fino a oltre il 12%. È proprio nel contrasto alla crisi che la Ue e l’euro rivelano tutti i loro limiti. Il Recovery fund, che con i suoi 750 miliardi di euro (250 di prestiti e 500 a fondo perduto) dovrebbe essere il piano d’intervento maggiore della Ue contro la crisi, è ancora in discussione tra i vari Paesi, ma, anche se dovesse essere approvato nel prossimo vertice europeo di metà luglio e nella sua versione originaria, nel 2020 non arriverebbe neanche un euro, i fondi saranno scaglionati negli anni successivi. I tre quarti della risorse non arriveranno prima del 2023. In questi ultimi giorni, malgrado non siano stati fatti passi significativi in avanti per combattere la crisi, si è addirittura cominciato a parlare di revocare la sospensione dei vincoli posti dai Trattati europei al deficit e al debito pubblico, dimostrando che, per l’Europa, l’adesione ai parametri di controllo di bilancio conta più delle conseguenze disastrose della crisi. Si corre pertanto il rischio di ripetere quanto accaduto con la crisi del 2008 quando, anziché operare politiche espansive, si introdussero vincoli di bilancio ancora più stretti con il risultato di ricadere nella crisi nel 2011.

In sostanza lo scenario che si prospetta già a settembre è quello di un autunno molto caldo, dal punto di vista della tensione sociale. È, quindi, facile predire che le conseguenze sulla sovrastruttura politica e istituzionale non saranno da poco. In questo quadro non è improbabile che il governo Conte si trovi in difficoltà a continuare il suo percorso, anche a prescindere dall’esito delle elezioni regionali, che comunque rappresenteranno un test importante per la tenuta del governo e in particolare per la tenuta dell’alleanza tra Pd e M5s. A settembre il governo si troverà di fronte a un altro test importante, rappresentato dal voto sul Mes, sulla cui accettazione c’è molta contrarietà all’interno del M5s. Per questo Conte sta lavorando per rafforzare i rapporti tra Pd e M5s, ma sta anche lavorando per una intesa con Forza Italia se i numeri per votare il Mes dovessero mancare, specialmente in senato.

La grave crisi economica sta aumentando le tensioni dentro i partiti, in particolare dentro il M5s, che oltre ad apparire nei sondaggi già molto ridimensionato rispetto alle ultime elezioni politiche, si trova ad affrontare una fronda interna da parte di Di Battista, che ha posto l’attenzione proprio sulle tensioni sociali del prossimo autunno e ha affermato che il M5s debba riprendersi la rappresentanza del malessere sociale. Ma non basta, il M5s è minacciato anche dall’esterno. L’ex esponente del M5s, Paragone, sta costruendo un suo partito basato soprattutto sull’idea forza dell’uscita dell’Italia dall’euro e dalla Ue. I sondaggi hanno un valore molto relativo, comunque l’istituto Piepoli accredita il nuovo partito di Paragone del 6,9% dei votanti. Se fosse vero, ciò significherebbe una ulteriore emorragia di consensi per il M5s. In estrema sintesi, il M5s rischia lo sfaldamento.

Ad ogni modo, sia che il governo Conte tenga, sia che si arrivi a una nuova maggioranza o che si decida per nuove elezioni, la sinistra radicale e anticapitalista deve arrivare all’inizio dell’autunno con le idee e proposte chiare, a cominciare all’Europa e dall’euro. Il modo in cui l’Ue sta affrontando la crisi è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità, o per meglio dire, della non volontà della costruzione europea di affrontare gli shock esterni e di condurre politiche espansive a livello continentale.

Se è vero che l’uscita dall’euro e dalla Ue ovviamente non risolve d’incanto tutti i problemi dei lavoratori, è, però, altrettanto vero che senza uscita dalla Ue e dall’euro non è possibile mettere in atto alcuna seria politica economica anticiclica, né, tanto meno, pensare a un serio processo di costruzione del socialismo. Per questa ragione, la sinistra radicale e anticapitalista deve prendere una posizione chiara sull’uscita dalla Ue e dall’euro. Allo stesso tempo deve marcare una differenza rispetto alla destra liberista e nazionalista che rivendica l’uscita dall’Europa, inserendo l’uscita dall’euro e dalla Ue all’interno di un programma di sinistra. Quindi si impone la definizione di un programma minimo di fase che abbia al suo centro l’uscita dalla Ue e dall’euro ma che non si limiti a questo. In particolare il programma minimo deve rispondere a due problemi di fondo: uno è la creazione di investimenti atti a sostenere l’occupazione e l’altro è inerente a come finanziare questi investimenti. L’uscita dalla gabbia europea si deve coniugare con la lotta al liberismo in tutte le sue forme, con la fine dell’autonomia della Banca d’Italia, che deve svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza, e con un intervento statale nell’economia non come socializzatore delle perdite capitalistiche ma come soggetto economico-industriale a tutto tondo, cioè in grado di entrare soprattutto nella gestione della produzione diretta di beni e servizi. In sintesi, quello che va fatto è una critica allo Stato e al suo ruolo non neutrale e subalterno al capitale nella crisi.

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