Le strategie del Governo Meloni per compiacere i patti di Bruxelles
di Federico Giusti
E' solo questione di giorni prima che il consiglio dei ministri approvi le linee guida del Piano nazionale strutturale di bilancio da cui subito dopo partirà l'iter che porta al documento di Bilancio.
E dalle prime indiscrezioni si capisce l'entità della manovra e soprattutto i suoi fini.
Fin da ora sappiamo che il Governo dovrà muoversi per ridurre il debito pubblico in rapporto al Pil, presentare il documento a Bruxelles, scongiurare gli interventi Ue e poi procedere con i tagli che saranno operativi una volta approvata la manovra di Bilancio dal Parlamento italiano.
Gli impegni assunti dal Governo Meloni saranno vincolanti anche per i futuri esecutivi a conferma dei margini esigui di agibilità e di manovra determinati dalle regole europee. Il tutto per ottenere i sette anni per il piano di rientro del debito. Ci attendono anni di sacrifici economici, di tagli di spesa che avranno ripercussioni immediate e negative sul welfare. E con molta probabilità innumerevoli promesse elettorali del Governo di destra non potranno essere rispettate. La coperta è troppo corta, se si vogliono salvaguardare aiuti e sgravi alle imprese, il taglio al cuneo fiscale si dovranno tagliare altre spese, prime tra tutte quelle relative alle pensioni e alla Pubblica amministrazione con risorse che mancheranno all'istruzione, alla sanità e agli Enti locali. Una scelta politica che dovrà permettere al Governo Meloni di mantenere il sostegno dei suoi protettori economici (gli imprenditori) senza aprire una voragine sociale derivante dalle politiche di privatizzazione che già intravediamo all'orizzonte.
Non resterà che tagliare allora le risorse alla Pa visto che tra stipendi e pensioni la spesa pubblica è agli occhi dell'Ue insostenibile assorbendo quasi il 30 per cento della spesa primaria. Per queste ragioni possiamo già ipotizzare alcuni scenari, vediamoli in estrema sintesi non prima di ricordare che il ruolo dei sindacati rappresentativi potrebbe essere dirimente, ad esempio per guadagnare il loro attivo consenso potrebbero potenziare quei fondi della previdenza integrativa legati ai contratti nazionali, attraverso il silenzio assenso, che sappiamo essere non solo il cavallo di Troia per la previdenza pubblica ma anche uno strumento di indubbio potere nelle mani della triplice. In estrema sintesi andiamo allora a vedere alcuni scenari dell'immediato futuro:
- rinnovi contrattuali della Pa senza effettivo recupero del costo della vita
- mancate assunzioni nei vari comparti pubblici. Già oggi la proposta di aumenti del 5% stride con una inflazione tre volte più grande se riferita all'ultimo triennio. Quanto poi alle assunzioni vediamo innumerevoli appalti e subappalti, il ricorso alle agenzie interinali come strumenti per ridurre la spesa pubblica e depotenziare la Pa nel suo complesso
- potenziamento della Fornero per scongiurare anticipi nell'uscita dal mondo del lavoro, in altri termini da qui a 10 anni andremo in pensione non prima dei 68 anni di età se non vogliamo incorrere in forti decurtazioni dell'assegno previdenziale.
- mancato incremento delle pensioni minime contrariamente agli impegni elettorali assunti- rafforzamento del calcolo previdenziale con il solo sistema contributivo per tutti i versamenti effettuati (inclusi quelli antecedenti al 1994) al fine di scoraggiare le uscite anticipate e ridurre la spesa previdenziale (assegni pensionistici decisamente più bassi)
- obbligo di trasferire almeno il 25 % del TFR ad un fondo di previdenza integrativa magari con lo strumento truffaldino del silenzio assenso
- riduzione di alcune agevolazioni fiscali, ad esempio potrebbe rientrare in questi cambiamenti il welfare aziendale e le decontribuzioni per le assunzioni delle giovani madri.
Da qui possiamo ipotizzare una manovra di bilancio lacrime e sangue all'insegna della riduzione di spesa richiesta da Bruxelles e puntualmente eseguita dal Governo di destra.