L'euro è la continuazione della politica con altri mezzi
di Giulio Sapelli - Il Sole 24 Ore
Un sistema a cambi fissi elimina strutturalmente la possibilità di operare svalutazioni monetarie che favoriscono la collocazione sui mercati esteri di merci altrimenti meno competitive per l’alto costo di vendita. Se non si realizzano aumenti costanti della produttività del lavoro in grado di raggiungere gli stessi risultati di competizione attraverso la riduzione dei costi via efficienza tecnica e qualità idiosincratica delle produzioni e dei servizi non si può che ricadere nelle svalutazioni interne, ossia nella riduzione dei costi tramite la scarsa efficacia tecnologica e la diminuzione dei salari.
L’istituzione dell’euro ridusse tutti i sistemi economici europei che si stavano vieppiù integrando dopo la seconda guerra mondiale a confrontarsi con questa alternativa che non poteva che esaltare le differenze strutturali e culturali sia dei ceti imprenditoriali sia di tutte le classi sociali confrontandone le culture e le capacità di operare secondo razionalità efficace economicamente. La moneta unica non unifica ma differenzia: ossia la sovranità monetaria che si perde si trasforma in esaltazione delle caratteristiche nazionali e di filiera economica con un effetto controintuitivo che pochissimi osservatori avevano colto ai tempi dell’unificazione monetaria, in dibattiti che letti oggi, rivelano una povertà sconcertante.
L’euro infatti era ben più che un disegno economico. Era una utopia politica perché da sempre la moneta è stata ed è la continuazione della politica con altri mezzi. E all’euro, allora come oggi, mancò di essere inteso come strumento per raggiungere una unificazione certo dei mercati,ma nel contempo una valorizzazione di ciò che fa l’Europa, un continente da tutti diverso: ossia la culla universale del pluralismo culturale e quindi linguistico, artistico, filosofico e morale. Ma per far questo occorreva creare le cattedrali dell’euro ossia le sue istituzioni che disvelassero la grandezza del progetto. Prima fra tutte doveva essere la Banca Centrale Europea che in se stessa rappresentasse siffatto disegno come era già accaduto negli USA dopo dibattiti secolari che iniziarono sin dalla fondazione di quell’inusitato nuovo impero.
Per questo la nuova banca centrale doveva essere una nuova fonte della politica monetaria innovatrice (operare come prestatore in ultima istanza sui mercati mondiali e aver di mira la crescita) e non essere,invece, la riproposizione tecnica della logica di potenza tedesca dando a essa lo statuto modellato su quello della Bundesbank. Si frantumò così l’utopia dell’euro e si inaugurò quello squilibrio geopolitico prima che economico di potenza che è alla radice della crisi odierna dell’Europa. Eppure la scuola monetaria italiana da ultimo con Augusto Graziani aveva sottolineato che parlare e far di moneta senza banche era ed è parlare al vento... Un vento che diventa tempesta.
Tutto il disegno grandioso, per ricordare T. S. Eliot, finisce non con un big bang ma con uno sbadiglio... per ignoranza storico politica e una ideologia economica che oggi ci devasta più che mai, esaltata dalla ipostatizzazione quantitativa matematizzante. Come se la moneta fosse questione di matematici e non di Re, di Imperatori, di parlamenti!
Economista e professore universitario di Storia economica