Libia. Ma quali elezioni, il fronte sud dell'UE pronto alla guerra
Mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte: in Libia la partita non è politica, è militare.
Chi pensava che le elezioni del 24 dicembre prossimo avrebbero stabilito chi dovesse guidare il Paese nei prossimi anni è solo un illuso.
Noi lo ripetiamo dal marzo scorso, da quando cioè l’attuale premier Abdul Hamid Dabaiba si era insediato con la promessa di traghettare il Paese fino alle elezioni.
Niente di più falso, niente di più improbabile.
Alla Turchia, che ormai occupa la Tripolitania dal gennaio 2020 controllando militarmente porti e la base di al-Waityah, serviva un burattino come Dabaiba che preservasse gli “accordi” di cooperazione che garantivano la presenza militare turca.
Parlare di elezioni serviva solo a prendere altro tempo e soddisfare qualche anima pia sempre pronta a credere alle favole.
SAIF NON SARA’ PRESIDENTE NONOSTANTE LO VOGLIANO I LIBICI
Ora che, con le elezioni alle porte, il consenso dei libici, secondo i sondaggi, volge al 70% a favore di Saif Gheddafi, le elezioni non si possono e non si devono tenere.
La Libia, o perlomeno la Tripolitania, è proprietà della NATO dal 2011 e la Turchia è il suo braccio armato.
Semmai il problema è come ricondurre i restanti 2/3 di superficie del Paese e il restante 70% di libici recalcitranti sotto il controllo dei Turchi.
Ci ha pensato Stephanie Williams, falco americano, già artefice del Forum di Dialogo Libico, un organismo che nell’ultimo anno ha rappresentato l’ennesima presa per i fondelli nei confronti del popolo libico. Un’iniziativa che aveva fatto cessare le armi, aveva dato la parvenza che tutti stessero lavorando per tenere elezioni e che ora ci consegna la situazione attuale: tutto come prima.
Anzi, è stata proprio la Williams, nominata solo lo scorso 6 dicembre come consigliere speciale dell’UNSMIL, la missione delle Nazione Unite in Libia, dopo mesi di assenza dalla scena libica, a segnare il cambio di marcia finale.
E’ lei che nei giorni scorsi è entrata nelle stanze del potere a Tripoli e ha trovato la soluzione: niente elezioni, ci sono troppi candidati e non è possibile vagliare le candidature di tutti. Come a dire: se non è possibile escludere dalle elezioni Saif Gheddafi, allora le elezioni non si tengono, perché il pallone lo portiamo noi.
PREPARARE LA GUERRA
Nel frattempo la stessa Williams ha visitato la linea del fronte tra Sirte e Jufra e ha incontrato al-Haddad, attuale comandante dell’Esercito Nazionale Libico, che sostituisce Khalifa Haftar che 3 mesi fa si era dimesso, secondo la legge, per poter candidarsi alle elezioni (cosa che il premier libico vicino alla NATO e ai Turchi, Dabaiba, non ha fatto, rimanendo in carica fino a oggi).
In un'eloquentissima foto, la Williams sta cercando di adescare il generale, probabilmente con promesse e lusinghe: “Haftar è lontano, uniamo il vostro esercito con le milizie di Tripoli e tu sarai il nuovo comandante”.
Intanto ieri la città di Sabha, nel sud del Paese, dove Saif Gheddafi aveva depositato la sua candidatura, è stata attaccata dalla milizia guidata da Masoud Jadi, appartenente al clan di Dabaiba, con l’obiettivo di strappare l’importante città all’Esercito Nazionale Libico (e chissà, forse catturare lo stesso Saif). Alcuni soldati sono morti sotto i colpi.
Intanto Repubblica titola: “Scontri tra le milizie di Haftar e Tripoli”.
No, signori. Questo è giornalismo di guerra.
Haftar non ricopre più cariche militari.
Inoltre quelle non sono milizie ma un esercito regolare, l’Esercito Nazionale Libico, l’unico esistente, votato dal parlamento libico nel 2015.
Le milizie sono quelle di Tripoli, quelle che noi finanziamo perché ci vendano illegalmente il petrolio sotto costo e sotto banco.
Quello che ci stavamo aspettando si è verificato: la data delle elezioni era un bluff.
Perché, lo ripetiamo, la partita in Libia non è politica. E’ tutta solo una questione militare.
Le elezioni servono solo ad incoronare un vincitore militare sul campo.
Con buona pace del 70% dei libici che avrebbero votato Saif Gheddafi.
Il fronte sud è pronto a scoppiare da un momento all’altro. In attesa degli sviluppi in Ucraina.
P.S.