Migrazioni, Sandouno (Urgences Panafricanistes): “Italiani e africani lottino insieme contro il globalismo”

Migrazioni, Sandouno (Urgences Panafricanistes): “Italiani e africani lottino insieme contro il globalismo”

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di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico


I principali media sono tornati a parlare in maniera biliosa e in chiave emergenziale del fenomeno migratorio, mentre L’Antidiplomatico ha scelto di intervistare Farafin Sâa François Sandouno, giovanissimo, tenace e brillante esponente del Panafricanismo nel XXI secolo e del Multipolarismo, Coordinatore sezione Italia della ONG Urgences Panafricanistes fondata dall’attivista Kemi Seba nel 2015, Collaboratore di NOFI primo giornale sulla cultura africana.

Sandouno si definisce “Africano nato in Italia”. Perché l’ideologia globalista ci vorrebbe piatti e senza storia, dimentichi di ogni complessità, quando invece l’umano è complesso, sfaccettato di luoghi e memorie. Lo abbiamo intervistato per restituire ai lettori una più lucida analisi del fenomeno migratorio, tra isterismi da invasione e buonismi che fanno solo danni alla popolazione africana e anche a quella italiana, scatenando una guerra tra poveri favorevole solo alle élite.


L'INTERVISTA

Sandouno, che cos’è il panafricanismo e in che modo rappresenta una visione al passo coi tempi?

Il panafricanismo è un’ideologia rivoluzionaria nata nel Novecento, che aspira all’unione delle diverse forme di africanità e che lotta da sempre per l’obiettivo di una sovranità continentale. . Tra i precursori vediamo Kwame Nkruman, il quale poi divenne presidente del Ghana, passando per Jomo Kenyatta e tanti altri importanti teorici ed esponenti come Marcus Garvey, Patrice Lumumba, Thomas Sankara (nomi importantissimi che hanno ispirato il movimento panafricano) arrivando fino a Gheddafi. All’epoca i cui è sorto il mondo era dominato e spaccato da due modelli economici e di civiltà: il comunismo a est e l’atlantismo capitalista a ovest. Il panafricanismo ha avuto un importante ruolo durante la decolonizzazione degli anni Sessanta, infatti in quel periodo storico trovava affinità di scopi con il comunismo contro lo sfruttamento dei lavoratori, contro le discriminazioni razziali e dei proletari di tutto il mondo, in chiave antimperialista e anticolonialista. Il comunismo negli anni novanta è però stato sconfitto e il capitalismo si è trasformato in globalismo neoliberale sul piano economico e culturale. Il panafricanismo si trova dunque oggi a confrontarsi con il liberalismo e il globalismo, ossia con l’unipolarismo occidentale. Per questo attualmente il panafricanismo vuole allinearsi con le potenze emergenti dei BRICS in un’ottica multipolare. Per quanto riguarda la concezione dell’Africa stessa riconosce e valorizza le differenze culturali e religiose tra stati africani: non vuole certo l’uniformità tra stati africani, altrimenti saremmo davanti ad una globalizzazione mascherata. Un cittadino della Guinea e uno etiope, ad esempio, hanno diverse caratteristiche e peculiarità storico-sociali e il panafricanismo le rivendica, auspicando però la sinergia per un obiettivo comune, ossia la sovranità africana dal neocolonialismo e dallo sfruttamento occidentale.

 

L’Alto rappresentante per gli affari esteri europei Josep Borrell sostiene che la questione della migrazione possa rappresentare «una forza disgregatrice per l’Unione Europea». I leader europei scaricano l’uno sull’altro -a valle- le responsabilità della mancata accoglienza, quando tutti invece hanno la responsabilità di quelle politiche che spingono a monte alla migrazione. Insomma possiamo dire che davanti alle telecamere fingono di essere in disaccordo su “quanti migranti accogliere” ma sono tutti d’accordo sul fatto che l’immigrazione sia il costo di un business irrinunciabile?

Sì. Il fenomeno migratorio è un fatto complesso e multifattoriale e tirarlo da una parte all’altra della propaganda è una strategia per impedire alle diverse popolazioni in Europa di comprendere la radice del problema, ovvero il saccheggio del continente africano e di qui i disordini politici e la diaspora verso l’Europa. Gli oligarchi europei operano in endogamia incestuosa con molti leader africani. Penso che le diverse cancellerie europee dovrebbero smettere di incolparsi l’una con l’altra, perché nel loro ruolo sono tutte responsabili dell’esodo africano, con la colpevole complicità degli oligarchi africani. Dobbiamo focalizzarci sulle cause e smetterla di perderci nelle conseguenze, cessare di soffermarci sull’accoglienza, o sulla retorica dell’“aiuto a casa loro”. L’unica strada è lasciare l’Africa libera di affermare la propria sovranità, che passa dal beneficiare delle proprie risorse (soprattutto del sottosuolo), all’autodeterminazione politica e culturale.

 

Anche lo jihaidismo è un frutto “marcio” del neocolonialismo. Ed è al contempo causa e conseguenza di disordini socio-politici, in un circolo vizioso ben architettato.

Attraverso l’assassinio del compianto Gheddafi, la destabilizzazione della Libia, sono stati fomentati gruppi armati ideologizzati del fondamentalismo islamico, allo scopo di creare caos nelle nostre terre. Tale controllo da parte del nord del mondo sull’Africa avviene anche per mezzo della cooptazione delle nostre élite, colpevoli di un gravissimo collaborazionismo, e spesso di criminale indifferenza verso questa emorragia di persone che finisce a morire in mare o vittima del caporalato. L’Africa subisce uno svuotamento di valore umano, di persone che sono intelligenze, forza lavoro, professionisti. Il controllo del nord del mondo sull’Africa si realizza dunque con un apparato bellico, tramite basi militari in particolare francesi, ma anche economico e finanziario con la moneta, soprattutto il franco CFA  (valuta che nel 1945 era l'acronimo di "Colonie Francesi d'Africa"). Nel controllare l’Africa i leader europei e in parte gli Usa controllano l’opinione pubblica italiana ed europea, sotto scacco nella polarizzazione ideologica tra porti aperti e porti chiusi.

 

È molto difficile nel nostro paese parlare con coloro che accusano di razzismo o mancanza di sensibilità chi prova a fare questo tipo di discorsi e smascherando quella che è a tutti gli effetti una forma di schiavitù moderna. Che fare?

La risposta la diede quel grande filosofo italiano che fu Antonio Gramsci: egemonia culturale. Una minoranza invisibile e potente per capacità mediatica indirizza il pensiero della popolazione. Occorre lavorare per una contro-egemonia culturale, per interrompere la lobotomizzazione del pensiero unico. Ci sono giornali, movimenti e partiti che lavorano alacremente per farlo, ma devono trovare il modo per farsi sentire dai cittadini.

 

Ci dicono che dobbiamo “aiutare l’Africa” quando dovremmo solo lasciare questa immensa e ricca terra con i suoi popoli, libera di autodeterminarsi. Dobbiamo ragionare in un’ottica contraria a ciò che ci dicono: è la sovranità africana che garantisce la sovranità anche degli stati nazionali europei.

Certamente, dalla sovranità del continente africano dipende anche la sovranità degli altri stati perché è il più asfissiato, il più ostacolato, oppresso ed è infatti qui che l’oligarchia globalista ha più potere. E se questo continente riesce a liberarsi dall’oligarchia americana e globalista, che soffoca anche l’Europa, questo può significare un affrancamento anche per le nazioni europee. Il globalismo non è una minaccia solo per l’Africa, attacca l’identità collettiva sul piano della spiritualità; il dogma è credere solo nel denaro, come in una daniestocrazia di cui parlava Ezra Pound (fondazione del potere sulla possibilità di prestare denaro); sul piano della famiglia questa ideologia promuovere una visione bistrattata di essa, perché dalla famiglia si genera la forza della comunità sociale; dal punto di vista dell’amore della patria incita alla nomadizzazione, a renderci tutti apolidi senza ancoraggio identitario. Si può nascere ovunque, ma conservando la matrice civilizzazionale: l’attacco globalista e la sua guerra che oggi imperversa, non è tra i popoli, ma per la sparizione di essi: per questo l’obiettivo deve essere quello di condurre tutti i popoli, africani come italiani, ad essere bastioni di resistenza al globalismo.

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