Mondo del lavoro: sta arrivando uno tsunami e non siamo preparati
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Sono davvero preoccupato per quello che ci aspetta, fatico a restare ottimista e temo che il mondo del lavoro non sia affatto pronto ad affrontare le grandi sfide del (prossimo) futuro.
Non mi riferisco soltanto all’inadeguatezza di gran parte del mondo sindacale, che orma fatica letteralmente a dare un senso alla sua stessa esistenza, tantomeno all’inconsistenza (se non persino alla complicità) di quella parte della politica che tradizionalmente si preoccupava di rappresentare gli interessi del mondo del lavoro.
Nonostante la narrazione ridicola sull’euro, sull’adesione all’architrave union-europeista, siamo all’inizio di un’impennata inflazionistica davvero inquietante: tutto costerà di più, compresi (anzi, soprattutto) beni di primissima necessità. Il mondo del lavoro parte già con le ossa rotte: i dati sull’occupazione sono drammatici, come pure l’andamento delle retribuzioni. Senza considerare i flagelli che si abbattono da tempo sul mondo del lavoro autonomo, soprattutto su quello fintamente autonomo, e sul lavoro sommerso.
Parentesi di questo tipo necessitano di una comunità del lavoro forte, coesa, solidale e, soprattutto, sostenuta: dalla politica, attraverso le istituzioni, e dal sindacato.
Purtroppo versiamo in un contesto letteralmente opposto a quello ottimale: i diritti individuali delle persone sui luoghi di lavoro sono stati letteralmente sciolti nell’acido delle politiche neoliberaliste e, conseguentemente, gli individui sono nudi e completamente esposti alla ritorsione. Non possono partecipare. Il contesto è aggravato dalla disoccupazione, che per anni abbiamo denunciato essere funzionale e strumentale a logiche di potere, la quale impone alla persona di accettare le più meschine condizioni di lavoro.
Lo abbiamo ripetuto per anni che le riforme in materia di lavoro erano riforme di potere e adesso ne avete la prova: il mondo del lavoro non è in grado di reagire a quello che ci sta arrivando addosso. È letteralmente seduto, impotente.
A questo aggiungiamoci l’individualizzazione (intesa come progetto scientificamente perseguito negli anni) della nostra società, come pure la sua letterale dematerializzazione: sono praticamente scomparsi moltissimi “luoghi” (fisici) di lavoro e senza l’occupazione di uno spazio col corpo ogni forma di resistenza è praticamente inesistente.
Complice di questa situazione è l’atteggiamento imperdonabile di una certa sinistrucola intellettualoide: la quale professava l’emancipazione dal lavoro, piuttosto che l’emancipazione del lavoro. La predica secondo la quale tempo e spazio altro non fossero che catene, limiti, piuttosto che protezioni. La narrazione velenosa per la quale la responsabilità collettiva, sociale, dovesse essere letteralmente soppiantata da una totale indeterminatezza individualistica: siamo dinanzi alle macerie provocate da sciocchi pseudostudiosi che adesso se ne staranno nell’ombra a guardare.
Abbandonando un preciso disegno costituzionale si è inteso spalancare un’autostrada ad un nuovo modello sociale, che soppiantasse definitivamente quello del compromesso tra capitale e lavoro di stampo renano, in favore di quello squisitamente (meglio, disgustosamente) neoliberalista che vede nell’individuo solo quanto può estorcergli.
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Ho scritto “Contro lo smart working”, Laterza 2021 (
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858144442) e “Pretendi il lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi”, GOG 2019 (
https://www.gogedizioni.it/prodotto/pretendi-il-lavoro/)