NATO: settanta anni verso est
di Fabrizio Poggi
Tra i 29 Paesi membri oggi dell'Alleanza atlantica, la classifica dei 15 con il più alto bilancio militare nel 2018, va dagli Stati Uniti, con 684,360 miliardi di dollari, alla Danimarca, con 4,279. L'Italia è quinta, con 25,371 miliardi di dollari, dietro a Gran Bretagna (61,622 mld $), Francia (51,200) e Germania (50,199). Le percentuali in rapporto al PIL, vedono gli USA con il 3,39%, Grecia (2,22%), Regno Unito (2,15%), Polonia (2,05%); seguono Romania (1,92%), Francia (1,82%), Turchia (1,64%), Norvegia (1,62%), Olanda (1,35%), Germania e Canada (1,23%), Danimarca (1,21%), Italia (1,15%). Con una popolazione complessiva di circa 570 milioni di persone, per “il contenimento di qualsiasi forma di aggressione contro il territorio di ogni Paese membro della NATO”, cioè per portare guerre in qualsiasi parte del mondo, sempre nel 2018 ogni cittadino yankee ha dovuto sborsare 2.088 dollari, un norvegese 1.364, 933 un suddito di sua maestà, 785 un francese, 740 un danese, 739 un danese, 602 un tedesco, 577 un canadese, 458 un greco, 428 ogni cittadino italiano.
Secondo il rapporto del Jane’s Defence Budget (stilato seguendo la metodica NATO) nel 2018 ogni cittadino russo è stato gravato di 382 $ per il bilancio militare. D'altronde, come oserva Oksana Solomatina per RT, la “minaccia russa” è l'unico argomento per giustificare ogni rafforzamento della NATO. Un documento del NATO Defense College ipotizza tre diversi scenari. Secondo il più favorevole dei tre, è necessario innanzitutto chiarire gli obiettivi della NATO in un mondo sempre più multipolare, facendo affidamento non sulla componente finanziaria o militare, ma sulle ragioni politiche della presenza in una particolare regione, ad esempio in quella asiatica. Il cattivo scenario è legato all'incapacità degli Stati membri a definire gli obiettivi chiave dell'organizzazione: la disunione politica e la miopia porteranno a una regionalizzazione della NATO e a un ruolo sempre minore dell'Alleanza nelle questioni di ordine mondiale. Nel terzo scenario, definito "terribile", l'Alleanza perde le proprie posizioni geopolitiche e diventa non reale la garanzia della difesa dei paesi membri.
In breve, sostiene il documento NATO, “la presenza sempre più estesa delle forze USA in Europa sembra esser dovuta alle priorità dell'establishment militare americano": ne sono gli ultimi esempi i tentativi di coinvolgere i membri NATO nella contrapposizione statunitense con la Cina o nelle azioni di guerra in Medio Oriente.
E, in tutti e tre gli scenari, è ovviamente presente la Russia. Nel primo, la NATO dovrebbe tener conto della presunta ambizione della Russia a rivedere l'ordine mondiale. In quello "cattivo" si prevede che la NATO possa contenere gli attacchi al proprio territorio, dovendo però prevenire la divisione politica interna, causata dal ricorso della Russia a una “forza soft”. Con lo sviluppo degli eventi più terribile, il possibile spostamento delle priorità statunitensi verso l'Asia porterebbe a un aumento dell'importanza della Russia nella contrapposizione alle minacce continentali.
Secondo il politologo Dmitrij Abzalov, l'unità dell'Alleanza atlantica può essere assicurata solamente da un singolo nemico o da un singolo obiettivo: "Dal momento che la NATO è un'alleanza militare, la presenza del nemico è la principale componente organizzativa del blocco politico. Se Mosca cessasse di essere un potenziale avversario, si porrebbe la domanda: a chi si oppone il blocco militare, a che tipo di minaccia militare?". Anche il politologo Alexandr Asafov concorda sul fatto che per la NATO è utile considerare la Russia come “erede dell'Unione Sovietica". Questo, nonostante il Patto di Varsavia, creato nel 1955, non esista più dal 1991.
Ma gli alleati europei della NATO, ritiene Dmitrij Abzalov, iniziano a stancarsi di questa “agenda russa”; sono stanchi di uno “scontro con un paese che non mostra atti di aggressione. Questa è una grande sfida per il futuro della NATO: perché è molto difficile smerciare il concetto di un'alleanza militare che opera in un sistema di scontro bilaterale, quando manca un secondo polo”. Lo dimostrano i passi franco-tedeschi per un “esercito europeo” e i piani del Parlamento europeo per l'incremento della presenza nelle zone di conflitto in Africa settentrionale e Medio Oriente.
Lo scorso 3 aprile, alla vigilia del vertice “celebrativo” del settantennale NATO a Washington, anche Jörg Kronauer osservava su Die junge Welt come fosse prevedibile che, “oltre alle solite controversie, come la protesta degli Stati Uniti contro il presunto budget militare tedesco troppo basso (Washington chiede che tutti gli “alleati” portino le spese militari al 2% del PIL) sarà trattato, soprattutto, un argomento con cui l'alleanza ritorna alle origini: la lotta contro Mosca”. Si marciava contro Mosca il 4 aprile 1949, alla fondazione dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e la lotta contro l'Unione Sovietica, momento centrale della guerra fredda, ha determinato le attività della NATO nei successivi quattro decenni. Era venuta poi una breve fase che sembrava alimentare speranze di una “smilitarizzazione” della politica mondiale. La NATO aveva vinto la guerra fredda contro il mondo socialista: non era chiaro contro chi si dovesse stare insieme. Sono quindi seguiti anni di espansione NATO verso est e poi un breve momento in cui alcuni politici tedeschi avevano persino messo in discussione scopi e obiettivi dell'Alleanza. Dubbi, messi tuttavia da parte con l'intervento NATO in Afghanistan nel 2001 – ma Kronauer, chissà perché, sembra dimenticarsi della Jugoslavia - e poi, soprattutto dal 2014, con il fronte comune contro la Russia. La "Seconda Guerra Fredda" non solo unisce un'alleanza di guerra, ma ne determina anche il riarmo e l'espansione dell'area operativa, con altri aumenti del bilancio militari di circa 100 miliardi di dollari entro il prossimo anno. Solo gli USA, hanno stanziato un quarto di miliardo di dollari per allestire una base americana in territorio polacco.
E chi mai, dopotutto, si ricorda più delle famose “assicurazioni” di James Baker a Mikhail Gorbaciov nel 1990, secondo cui “La sfera di influenza della NATO non si sposterà di un pollice verso Est” o di quelle del Segretario alla difesa Robert McNamara, secondo cui “gli Stati Uniti si impegnano a non espandere mai la NATO a est, se Mosca sarà d’accordo per la riunificazione della Germania”? Più credibile era stato più tardi il generale USA Joseph Votel, quando aveva spiattellato che “obiettivo della Russia è quello di non farsi accerchiare da truppe e basi NATO; il compito della NATO è fare proprio questo”.
Ora che Paesi baltici e Polonia sono “difesi” dai battaglioni multinazionali NATO; ora che anche la questione della Crimea si è apertamente rivelata per quello che era: solo il pretesto per rinverdire la presenza del “nemico”, infischiandosene della “sovranità”, russa o ucraina che sia; ora, nella due-giorni celebrativa a Washington, il Segretario generale Jens Stoltenberg ha dichiarato che la NATO sta pianificando una serie di misure per sostenere l'Ucraina e la Georgia nel mar Nero: in particolare, per garantire l'accesso dei vascelli NATO ai porti ucraini e georgiani e intensificare le ricognizioni aeree sulla zona. Senza tanti giri di parole, la rappresentante USA presso la NATO, Kathryn Ann Bailey Hutchison, ha dichiarato chiaro e tondo che l'Alleanza deve “garantire la sicurezza di passaggio di naviglio ucraino per lo stretto di Ker?”, confermando di fatto che la provocazione di Kiev del novembre scorso non era stata una iniziativa “autonoma” dei golpisti, ma un'azione programmata con le strutture militari occidentali.
Questo a sud. A nord, gli USA stanno sempre concentrando l'attenzione su quei paesi, come Finlandia e Svezia, che potrebbero essere assorbiti nell'Alleanza atlantica e, nel frattempo, Washington rafforza con essi propri legami bilaterali, così come con Paesi quali la Lituania che, pur essendo membro della NATO, si orienta per rapporti diretti con gli Stati Uniti.
In tal modo, il Pentagono avrebbe la possibilità di creare basi militari proprie, oltre a quelle NATO.
Ha messo la propria ciliegina sull'anniversario, il solito Jens Stoltenberg, paragonando Stalin ad Adolf Hitler e ISIS. A dir poco molto contenuta e sicuramente dettata dal ruolo ricoperto, la replica della portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova: “Una dichiarazione non solo inappropriata, quanto stupida. La ascrivo a una cattiva formazione".