Nell'Italia del 2022... "Voglio il nome di chi ha il ciclo"
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La direttrice di un supermercato entra in bagno e trova un assorbente «fuori posto». Chiede immediatamente ai suoi diretti collaboratori di verificare chi tra le dipendenti abbia il ciclo in modo da assumere gli adeguati provvedimenti: «voglio il nome e cognome di chi oggi ha il ciclo mestruale, ok? Sennò gli calo le mutande io». Qualora non la direttrice non fosse stata appagata, riferisce un rappresentante, sarebbero fioccate «contestazioni disciplinari a tappeto oltre che mancati rinnovi di contratto a tempo determinato».
In tante circostanze, come rappresentante dei lavoratori, mi è stata rivolta una critica precisa: «voi sindacalisti difendete chiunque, anche coloro i quali davvero si dimostrano indifendibili». Ora, al netto del fatto che personalmente non ho mai difeso chi ai miei occhi non fosse apparso meritevole, mi sono domandato cosa avrei fatto nel caso di specie: come avrei agito nel caso in cui fossi stato io il rappresentante di questa direttrice?
Ecco cosa farei. Pretenderei che il procedimento disciplinare si svolga secondo tutte le regole previste dalla legge e dai contratti e, nel caso quanto pare a prima vista fosse confermato, pretenderei un licenziamento per giusta causa, il massimo che possa prevedersi. Non solo: inviterei l’impresa a chiedere un risarcimento del danno in vista del discredito reputazionale che una condotta del genere inevitabilmente comporta in carico al datore di lavoro e a tutti i suoi collaboratori. Inoltre, suggerirei alle sue collaboratrici di adire le vie legali per vedere compensato il danno morale che una condotta di questo tipo inevitabilmente induce.
Ecco, più o meno questo.
In situazioni analoghe mi viene in mente la figura del negriero o del kapo: capita che, investita di una qualche responsabilità e di un qualche potere, anche una persona che fa naturalmente parte del gruppo dei deboli, degli sfruttati, assuma atteggiamenti di dominio, sopraffazione, massimamente violenti. Comportamenti spregevoli che vanno stigmatizzati, ostracizzati, puniti con la massima severità: tipici di chi sa esercitare infamia sui propri simili, pretendendo di “emancipare” la propria condizione con la meschinità solita di chi comunque miserrimo resta fin dentro le ossa.
Pensate che le aziende siano severe nei confronti di queste persone?
Tempo fa mi è capitato di denunciare con tutte le mie forze un lavoratore con ruolo di responsabile per una grande impresa, un’impresa davvero importante. Pensate che questo individuo subordinava la concessione di misure emergenziali pensate per ridurre i contagi da Covid-19 ai risultati commerciali raggiunti dal suo team. Ovviamente tale ricatto ignobile è cessato (mi è toccato insistere), ma quella persona è ancora al suo posto, ad esercitare gli stessi identici poteri. I grandi gruppi sfruttano certe inclinazioni, la miseria che a volte alberga nell’animo umano: adoperano certe leve per trarne profitto, per massimizzare lo sfruttamento, e fingono di non vedere.
A meccanismi come questo ovviamente è funzionale il contesto nel quale versiamo miseramente e sul quale ci siamo intrattenuti centinaia di volte: una disoccupazione galoppante (voluta, in quanto strumento di potere) che instilla la paura di perdere il posto di lavoro; una precarietà senza precedenti nella storia, e così via.
La morale: chi si macchia di certe colpe va messo alla porta con disprezzo e sdegno universale, ma non limitiamoci a guardare la punta dell’iceberg perché il male che ci affligge ha radici molto molto più profonde.
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Ho scritto “Contro lo smart working”, Laterza 2021 (
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858144442) e “Pretendi il lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi”, GOG 2019 (
https://www.gogedizioni.it/prodotto/pretendi-il-lavoro/)