"Noi siamo il popolo della luce". Netanyahu riaccende le guerre di religione

"Noi siamo il popolo della luce". Netanyahu riaccende le guerre di religione

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“La nostra è una lotta tra l’asse le Male, Iran, Hezbollah, Hamas e l’asse della Libertà e del Progresso, noi siamo il popolo della luce, loro il popolo delle tenebre e la luce trionferà sulle tenebre”. Così Netanyahu nel discorso alla nazione.

“Dovete ricordare cosa vi ti ha fatto Amalek, si legge sulla nostra Sacra Bibbia”, ha proseguito, aggiungendo che quella attuale è parte di una serie di guerre combattute dal popolo ebraico per la propria esistenza da  3mila anni.

Il passo della Bibbia citato è forse il più tragico del testo sacro. Adirato contro Amalek per le efferatezze commesse contro il popolo eletto, il Signore invia un messaggio a Saul tramite il profeta Samuele: “Va dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini”.

Netanyahu ha poi proseguito affermando che i tragici errori della Sicurezza che hanno permesso l’attacco ad Hamas saranno indagati e che tutti dovranno rispondere di quanto avvenuto – “me compreso” ha aggiunto – ma che ciò accadrà “solo alla fine della guerra”, che egli ha la responsabilità di guidare per portare Israele verso “una vittoria schiacciante”.

Il messaggio messianico di Netanyahu

Tre elementi in questo discorso. Il primo è che Netanyahu si appoggia ai suoi partner ultra-ortodossi e, abbandonando l’usuale pragmatismo, ne sposa il millenarismo. Evidentemente reputa che questo sia l’unico modo di salvare il collo dal cappio che gli hanno già preparato i suoi concittadini.

Che sia terrorizzato dal futuro lo indica il tweet pubblicato successivamente, nel quale spiegava che l’intelligence e la Difesa non l’avevano avvertito di eventuali pericoli provenienti da Gaza. Tweet che si è dovuto rimangiare, scusandosi, dopo l’insurrezione degli interessati.

Un articolo di Ravit Hecht  su Haaretz spiega che il tweet in questione potrebbe risultargli fatale, avendo incrementato la diffidenza nei suoi confronti da parte di diversi membri del suo partito e degli ultraortodossi dello Shas. Se lo abbandonassero, si potrebbe profilare un altro governo, non più a trazione ultra-ortodossa.

Fin qui le previsioni della Hecht, che riecheggiano la crescente irritazione del Paese verso Netanyahu, alla quale si aggiunge il dissidio latente creatosi con l’amministrazione Biden, che insiste sulla necessità di agire con attacchi chirurgici e non massivi contro Gaza.

Se riferiamo gli interna corporis di Israele, apparentemente secondari rispetto alla mattanza della Striscia, è perché lasciare che la risposta agli attacchi del 7 ottobre sia guidata da un leader che lotta per la sua sopravvivenza politica e che quindi potrebbe modulare guerra secondo tale necessità – come peraltro ha fatto in passato – è molto pericoloso, sia per gli antagonisti di Israele che per la stessa Israele, nonché per il mondo (visto che siamo in tema biblico, è da presumere che Bibi conosca anche il passo riguardante l’l’auto-immolazione di Sansone pur di eliminare tutti i filistei).

Ma la comparazione tra Amalek e Hamas non è solo una consegna alle pulsioni messianiche che attraversano Israele, è anche altro e più inquietante, dal momento che destina Gaza allo sterminio.

Al di là della pretesa di parlare a nome di Dio come ebbe a fare Samuele (pretesa che appare alquanto eccessiva), resta che, in tale chiave, l’attacco a Gaza non ha più i connotati di un’operazione volta a eliminare una minaccia o a ricostruire una deterrenza, ma è tutt’altro.

Così al fondamentalismo di Hamas si contrappone quello del messianesimo ebraico (pure oggetto di accese critiche all’interno dell’ebraismo). Peraltro, anche l’evocazione di una lotta tra luce e tenebre appare alquanto eccessiva. Sul punto vale il detto: troppa luce acceca.

Tornare all’Asse del Male

Fin qui la guerra di Gaza. Ma nelle parole di Netanyahu c’è anche altro. Rievocare l’Asse del Male, banalizzazione posta a fondamento delle guerre infinite post 11 settembre che tanti danni hanno arrecato al mondo, intende riportare indietro le lancette dell’orologio, far ripiombare il mondo in quell’incubo, in particolare per l’identificazione dell’Asse maligno in questione, che da Hezbollah porta all’Iran.

Da sempre Netanyahu ha una vera e propria ossessione per l’Iran, che ha avuto il suo focus nel denunciare in maniera martellante veri o presunti passi di Teheran verso la bomba atomica. Ne scriveva Yossi Verter su Haaretz nel 2018 ed era notorio che tale ossessione mirava ad arrivare a una guerra con Teheran, che ovviamente coinvolgesse gli americani.

Così iniziava un articolo di Bradley Burston su Haaretz del novembre del 2017: “Benjamin Netanyahu ha bisogno di una guerra. Ha bisogno che sia con l’Iran. E ne ha bisogno presto”.

“Netanyahu ha bisogno di una guerra perché è disperato e quindi una guerra potrebbe rispondere a due dei suoi bisogni più immediati: in primo luogo, creerebbe una distrazione generale e posticiperebbe [problematiche per lui critiche] e, in secondo luogo, se la guerra dovesse avere successo anche se coincidesse con la fine della sua carriera, resta l’unica cosa che il primo ministro desidera di più in questa vita: lasciare un’eredità”.

Cenni che appaiono di stretta attualità. Più procede, più dura, la mattanza di Gaza e più il rischio che altri attori entrino in campo è alto. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, finora silente, ha annunciato che parlerà venerdì prossimo. Non è di buon auspicio.

Il rischio genocidio

A mietere vite a Gaza non sono solo le bombe, che nel frattempo hanno fatto oltre 8mila vittime di cui più di 3mila bambini (vendetta portata a compimento), ma il tiro al bersaglio sugli ospedali, le strade intasate di rovine che impediscono ai soccorsi di giungere in tempo, la mancanza di cibo, acqua potabile, medicine (vedi Haaretz: “Allarmanti e catastrofici: ecco come erano gli aiuti a Gaza prima della guerra – e adesso”).

“Moriremo in questa guerra, moriremo tutti, ma non sappiamo quando”, così una testimonianza da Gaza riferita in un articolo di The Intercept da leggere.

Concludiamo riportando un articolo di Consortiumnews: “Sebbene la questione del genocidio non sia ancora emersa nella politica internazionale relativa alla questione palestinese, ora ci sono buone ragioni per aspettarsi che nei prossimi mesi verrà sollevata sia dai governi arabi che dalle organizzazioni per i diritti umani”. 

“Questo è certamente il momento storico per portare avanti la causa contro il genocidio di Israele come richiesto dalla stessa Convenzione sul Genocidio. Il requisito legale per tale accusa non è provare l’omicidio di massa di milioni di persone come fu compiuto da Hitler”. 

È sufficiente dimostrare che uno Stato ha ‘l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso’. cosa che sta avvenendo” e ‘deliberatamente infliggere al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale‘. La guerra imposta alla popolazione di Gaza da Israele rientra ovviamente in queste due disposizioni cruciali della convenzione”. Di tale genocidio, conclude Consortiumnes, saranno complici gli americani.

A qualche lettore apparirà estremo, ma se Gaza rischia di essere rasa al suolo insieme ai suoi abitanti, Israele si sta consegnando a un marchio di infamia che lo perseguiterà negli anni a venire. La Nabka sconvolse solo gli arabi, quel che sta accadendo a Gaza si sta consumando sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale. Oscurare le comunicazioni non basterà a nasconderlo.

Porre un freno alla mattanza non è solo una questione umanitaria, pur basilare, ma è anche nell’interesse del mondo e della stessa Israele, come ben sa anche l’ambito più lucido dell’ebraismo, in Israele e altrove.




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