Nuove istituzioni per un nuovo mondo

Nuove istituzioni per un nuovo mondo

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di Enrico Tomaselli

 

Se, come sembra evidente, stiamo inesorabilmente andando verso un mondo multipolare, e quindi superando la breve ma ostinata stagione in cui s’è creduto nella possibilità dell’unipolarismo, è altrettanto chiaro che questa transizione non è affatto semplice, e come ogni parto può essere assai dolorosa. Ragion per cui, dovrebbero tutti adoperarsi per renderlo più facile, proprio a partire dalla consapevolezza della sua ineluttabilità.

Ciò significa anche cominciare ad immaginarlo, questo mondo nascituro, in modo tale da predisporre le cose affinché possa crescere nel miglior modo possibile. E tra le cose che sarebbe urgente ripensare, vi sono indubbiamente alcune istituzioni internazionali - che sono poi il luogo in cui le relazioni si intrecciano e si regolano - a partire proprio dall’ONU.

Le Nazioni Unite, nate all’indomani della seconda guerra mondiale, con l’ambizione - forse decisamente troppo grande - di cancellare, o quantomeno ridurre al minimo, tutte le guerre, pur avendo avuto indubbiamente un ruolo positivo di mediazione, rispetto all’obiettivo più importante hanno indubbiamente fallito. Ed hanno fallito non solo perché, probabilmente, l’obiettivo era troppo fuori portata, ma perché la sua stessa strutturazione - basata sui vincitori della guerra - conteneva i germi del fallimento. La sua successiva evoluzione, durante gli anni della guerra fredda prima, e quelli della illusione unipolare poi, non ha fatto che peggiorare le cose. A rendere l’ONU uno strumento oggi irrimediabilmente datato ed inadeguato, non è però soltanto il suo imprinting, l’essere cioè costruita intorno alle potenze vincitrici dell’ultima guerra mondiale, ormai ottant’anni fa.

Un suo forte elemento di debolezza strutturale è la sua scarsa o nulla democraticità. La sua Assemblea Generale infatti, pur essendo l’organo in cui tutti i paesi possono esprimere - più o meno liberamente - il proprio orientamento, è di fatto un organismo pletorico, le cui deliberazioni possono benissimo essere ignorate dagli stati membri. E, ovviamente, più lo stato è potente più è facile che possa non tener conto delle decisioni assembleari. Il vero organo di governo dell’ONU è quindi il Consiglio di Sicurezza. Un organismo in cui siedono membri di serie A (permanenti) e di serie B (temporanei), ed in cui i primi - oltre ai vantaggi derivanti appunto dall’essere costantemente membri del Consiglio stesso - godono oltretutto dell’ulteriore atout del diritto di veto, cioè di bloccare qualsiasi decisione sgradita. Last but not least, benché successivamente anche la Cina sia stata ammessa tra i membri permanenti, è evidente che sussiste uno squilibrio anche all’interno di questo club ristretto: dei cinque membri di serie A, infatti, tre sono schierati da una parte, e sono membri della più grande alleanza politico-militare al mondo, la NATO.

Questa situazione di squilibrio ha fatto sì che, negli ultimi decenni, le Nazioni Unite siano divenute sempre più spesso una copertura per l’azione delle potenze occidentali, cui hanno spesso offerto il proprio ombrello. Ed al tempo stesso si siano rivelate del tutto incapaci di impedire che i paesi membri ne violassero le regole e le decisioni - ovviamente proprio da parte dei membri permanenti in primis. È quindi evidente che, se vogliamo che le Nazioni Unite recuperino una effettiva funzione internazionale, svolgendo il ruolo di camera di compensazione, in cui si cercano le soluzioni mediate e di compromesso, esse devono essere necessariamente rifondate. Tale rifondazione deve forzatamente passare attraverso alcuni cambiamenti radicali. Deve essere riequilibrato il Consiglio di Sicurezza, riducendo il potere di veto dei membri permanenti ed il loro numero. Dev’essere aumentato il potere dell’Assemblea Generale. Devono essere introdotti meccanismi sanzionatori interni, ad esempio la perdita temporanea del diritto di voto e/o di veto, in caso di violazione delle decisioni assunte. Deve insomma cessare di essere un organismo sempre meno autorevole, e sempre più irrilevante, surclassato dalle decisioni autonome degli stati più potenti, e ricostruirsi intorno all'idea che - nel mondo nuovo - deve operare per ridurre le differenze di peso tra gli stati, riconoscendo a tutti uguale dignità, senza più limitarsi invece a registrare tali differenze, ed a regolarsi di conseguenza.

Un’altra istituzione che necessità ugualmente di essere profondamente modificata - e questo ci riguarda assai più da vicino - è l’Unione Europea. Qui i problemi sono, per certi versi, ancor più difficili da risolvere, ma la loro risoluzione è non meno importante. Anche l’UE, come l’ONU, ha una struttura non democratica, con un Parlamento Europeo elettivo (sia pure con alcune limitazioni significative), il cui peso politico e decisionale è del tutto irrilevante e - come sempre più spesso succede anche nei parlamenti nazionali - ridotto a mero organo ratificatore delle decisioni assunte dal governo europeo, ovvero la Commissione. Un organismo appunto non democratico, in cui si annidano (così come nella potente burocrazia comunitaria) i rappresentanti di interessi politico-economici assai diversi da quelli dei popoli europei, e che comunque, alla prova dei fatti (come dimostra la crisi susseguente alla guerra in Ucraina), non sono neanche capaci di assumere e mantenere una posizione unitaria, e corrono ciascun per sé come polli impazziti all’arrivo della volpe sull’aia.

Ovviamente anche qui c’è un problema fondativo; di là dalle retoriche europeiste, il richiamo ai (presunti) padri fondatori, il Manifesto di Ventotene etc, l’UE nasce come estensione di un mercato comune, avendo a cuore principalmente il rafforzamento dei capitali europei e la difesa attiva dei loro interessi, all’interno e verso l’esterno dell’Unione. Qualsiasi ricostruzione di una unità europea. quindi, non può che passare prioritariamente da un ribaltamento di prospettiva, ponendo al primo posto gli interessi collettivi dei popoli europei, cui vanno subordinati gli interessi privatistici del capitalismo continentale. Solo una effettiva unione politica delle nazioni europee può porsi, autonomamente, in condizioni di parità rispetto alle altre grandi potenze mondiali, fare quindi le proprie scelte alla luce di quegli interessi collettivi (e non della subordinazione cui fanno riferimento le attuali classi dirigenti), e un domani rivendicare un posto ed un ruolo nel Consiglio di Sicurezza, al posto di quelli occupati dalle ex-potenze coloniali d’un tempo.

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