Oppio, Talebani e ipocrisia dell’Occidente
Nel saggio “Afghanistan. Storia, Geopolitica, Patrimonio” aggiornato a settembre 2023, ho segnalato alcune note positive del nuovo corso dell’Emirato dei Talebani che, nell’assenza di riconoscimento e aiuto internazionale, governa il Paese alle prese con una gravissima crisi alimentare e umanitaria definita dal World Food Program come “la più devastante del pianeta”. Le note positive si riferiscono ad una realtà che smentisce anche le banalizzazioni scandalistiche diffuse dai nostri media sull’obbligo del burqa e divieto di studio alle donne. Il governo talebano in aprile 2022 con un decreto del leader supremo Haibatullah Akhundzada ha imposto una forte limitazione della coltivazione di papavero da oppio. Ai primi di giugno 2023 il ministro degli esteri, Amir Khan Muttaqi, ha fatto sapere che la coltivazione del papavero è stata ridotta e quasi completamente sradicata. Il portavoce del ministero Hafiz Zia Ahmad ha affermato che la percentuale della terra coltivata a papavero nella provincia dell’Helmand è stata ridotta in un anno a 0,4% dal precedente 56,2%. La notizia è confermata dal rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan, Thomas West: “i rapporti secondo cui i talebani hanno implementato politiche per ridurre in modo significativo la produzione di papaveri da oppio sono credibili e importanti.” La BBC riferisce di un’indagine condotta con analisi satellitare nelle province di Nangarhar, Kandahar e Helmand, secondo cui nel 2023 c’è stata una marcata diminuzione della coltivazione del papavero in tutto l’Afghanistan. David Mansfield, in Afghanistan da 25 anni ed esperto di produzione e traffico di droga con l’ausilio di analisi satellitare, ha dichiarato: “Abbiamo riscontrato un enorme calo del papavero nelle principali province di coltivazione dell’oppio… la coltivazione annuale potrebbe essere inferiore dell’80% rispetto allo scorso anno.” Sembra tutto confermato dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) che, ai primi di novembre, ha pubblicato un comunicato con i risultati d’inchiesta “La coltivazione di oppio in Afghanistan nel 2023 è diminuita del 95% in seguito al divieto della droga” (Kabul/Vienna, 5 novembre 2023)i. Nel comunicato si accenna che la drastica diminuzione è il risultato del “divieto di droga imposto dalle autorità di fatto nell’aprile 2022” e si precisa: “La coltivazione di oppio è diminuita in tutte le parti del paese, da 233.000 ettari a soli 10.800 ettari nel 2023. La diminuzione ha portato a un corrispondente calo del 95% nella fornitura di oppio, da 6.200 tonnellate nel 2022 a sole 333 tonnellate nel 2023.” Le autorità cui si riferisce il comunicato – senza nominarli – sono i Talebani, cioè il governo dell’Emirato islamico dell’Afghanistan proclamato l’11 settembre 2021 e non riconosciuto dall’Occidente. E certo, si fa fatica ad ammettere che, se i Talebani non rispettano i nostri democratici “Diritti Universali”, tuttavia operano in base a principi etici e si adoperano per salvare la gente afghana dalla fame e dalla droga. Purtroppo, la realtà è che l’Afghanistan è stato completamente abbandonato dopo l’occupazione ventennale. I soldi, 10 miliardi di dollari che Stati Uniti, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale avevano garantito quali riserve finanziarie, dopo la caduta di Kabul, sono bloccati nelle banche americane. Con grande indifferenza, ma direi con vera e criminale smemoratezza, ci si dimentica che fin dagli anni ‘90 l’Asia centrale produceva 3/4 dell’oppio mondiale, legato al boom dei “Quattro Cavalieri” (Exxon-Mobil, Chevron-Texaco, BP-Amoco, Royal DutchShell). Un aumento vertiginoso dal crollo dell’Unione Sovietica. Ci si dimentica che i chimici della CIA ‘inaugurarono’ la massiccia produzione di eroina, mossa strategica per accerchiare la Russia e destabilizzare l’Asia centrale, in cui fondamentalismi islamici ben finanziati ed eroina furono le pedine di un gioco devastante. Se da un lato si dimentica, d’altro lato si ignorano i rapporti Sigar (Special inspector general for Afghanistan reconstruction) presentati al Congresso USA i quali dicono che, in Afghanistan, Big Oil con il supporto della CIA ha fabbricato il 90% dei prodotti chimici necessari per la raffinazione di cocaina ed eroina, con una crescita di produzione tra il 2012 e il 2013 più che raddoppiata rispetto agli anni ’90ii. Durante l’occupazione “democratica” dell’Afghanistan, dunque, sono stati prodotti i 2/3 dell’eroina mondiale e il 95% della droga che circolava in Gran Bretagna. Secondo dati di poco precedenti al ritiro delle forze USA e NATO, l’oppio contribuiva per il 60% al PIL dell’Afghanistan “democratico”, in cui esercito e poliziotti facevano largo uso di droga ed erano anche trafficanti. Eppure ora, come si evince dal rapporto del 5 Novembre, i responsabili ONU sembrano molto preoccupati della sorte dei contadini afghani vessati dalle proibizioni dei Talebani al potere: “Oggi, la popolazione afghana ha bisogno di assistenza umanitaria urgente per soddisfare i bisogni più immediati … E nei prossimi mesi, l’Afghanistan avrà un disperato bisogno di forti investimenti in mezzi di sussistenza sostenibili, per offrire agli agricoltori afghani opportunità lontane dall’oppio.” Se questa non è ipocrisia, qualcuno suggerisca un altro termine efficace… Note: i Nazioni Unite, Ufficio contro la droga e la criminalità (https://www.unodc.org/unodc/en/press/releases/2023/November/afghanistan-opium-cultivation-in-2023-declined-95-per-cent-following-drug-ban_-new-unodc-survey.html) ii Secondo il rapporto Sigar 2014 e i servizi antidroga russi, nel 2014 è stato raggiunto un volume di 150 miliardi di dosi e le piantagioni di oppio in Afghanistan hanno superato le aree di produzione di coca di tutto il Sud America, producendo l’85% dell’eroina mondiale.
di Maria Morigi - Marx21