Processo Chokri Belaïd: condannati gli assassini
di Francesco Fustaneo
Se in Italia il suo nome dice assai poco, in Tunisia di contro, Chokri Belaïd era un personaggio pubblico molto noto.
Avvocato e attivista politico, all'indomani della cosiddetta “Rivoluzione dei gelsomini" divenne membro dell' “Ente Supremo per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”. Fu anche membro del Consiglio dell'ordine degli avvocati. Nel 2011 fu poi tra i fondatori del Movimento dei patrioti democratici (MPD), partito politico che si richiamava al marxismo e al panarabismo. Nello stesso anno, Belaïd guidò l'unificazione del MPD con il Partito del lavoro patriottico e democratico (PLPD). Nel 2012 i due partiti entreranno a far parte del Fronte Popolare insieme ad altre forze politiche d'ispirazione marxista, panaraba ed ecologista.
Chokri Belaïd era noto anche per la sua verve, la sua combattività e la sua feroce critica alle politiche della Troika ( nome non ufficiale per designare l'alleanza tra i tre partiti, Ennahda, Ettakatole CPR, che governarono in Tunisia dopo le elezioni dell'Assemblea costituente del 2011) e al movimento conservatore islamico Ennahdha e ai suoi leader, che accusava di voler "mettere le mani sull'apparato statale" e di minare le libertà fondamentali dei cittadini tunisini.
Furono, a detta di numerosi osservatori politici, proprio l'audacia e la sua crescente popolarità a costargli caro: il suo discorso di condanna della violenza e di denuncia dell'Islam politico e delle pratiche di Ennahdha gli valse numerose minacce di morte.
Divenne così bersaglio di aspre campagne di demonizzazione da parte dei suoi detrattori. "Ogni volta che gli islamisti si sentono sotto pressione, politicamente isolati e perdono popolarità, ricorrono alla violenza, al terrore e all'intimidazione", ripeteva spesso.
"Attenzione a non lasciarvi trascinare nella matrice della violenza. La violenza indiscriminata avvantaggia solo le correnti oscurantiste. Avvantaggia il movimento Ennadha", riferì in una trasmissione televisiva alla vigilia del suo assassinio.
Belaïd fu ucciso il 6 febbraio 2013 con tre colpi di pistola, mentre si trovava in auto presso casa sua, nel quartiere di El Menzah (al-Manza): aveva 48 anni. Il suo omicidio scatenò numerose manifestazioni in tutto il Paese: in segno di protesta, in diverse città, le sedi del partito islamista al potere, Ennahda, furono assaltate. Ai suoi funerali al cimitero di Jellaz, parteciparono circa un milione e mezzo di persone, numeri che danno l'idea di come fosse divenuta popolare la sua figura e soprattutto dell'impatto emotivo che tra i tunisini, aveva scaturito il suo barbaro assassinio.
Lo scorso mercoledì 27 marzo 2024, la magistratura tunisina ha finalmente emesso il suo verdetto, arrivato dopo 11 anni di indagini e dopo 15 ore di deliberazione.
A darne notizia ai media, Aymen Chtiba, procuratore generale aggiunto del polo giudiziario antiterrorismo.
Emanate 4 condanne a morte, 2 ergastoli, 12 pene da due a 120 anni e 5 assoluzioni. Alla sbarra, in totale erano presenti 23 persone, accusate a vario titolo dell'assassinio dell'attivista.
Abdelmajid, il fratello di Chokri Belaid, si è detto soddisfatto che i colpevoli siano stati condannati. "Presto inizierà la seconda sessione del processo che vedrà la partecipazione dei leader dell'apparato segreto di Ennahda che ha pianificato l'assassinio", ha affermato, anche se a onor di cronaca va detto che non sono trapelate conferme ufficiali in merito dagli ambienti giudiziari.
Ennahda, dal canto suo ha affermato in un comunicato stampa che "i dettagli accertati dagli organi giudiziari mostrano chiaramente la propria innocenza”.
Nel frattempo, anche se per motivazioni non connesse all'omicidio in questione, continua a rimanere in carcere Ghannouci, leader di Ennhada, inizialmente accusato di cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato e di riciclaggio di denaro. Solo lo scorso febbraio i media tunisini avevano riportato la notizia di una ulteriore condanna nei suoi confronti ad altri tre anni di carcere, con l'accusa di aver accettato finanziamenti esterni illeciti durante una passata campagna elettorale.