Quando il bonus è un malus
Eccoci immersi in una nuova stagione di bonus. Funziona un pò come con i saldi: non è detto che ciò che appare conveniente lo sia per davvero. Nel caso delle elargizioni della politica queste rispondono all'esigenza di mettere delle pezze. Quasi sempre vengono a ricadere a ridosso delle competizioni elettorali. Il fine, scontato, è di accattivarsi determinate categorie sociali alle quali viene dato un premio con la speranza di prendere da essi quanti più voti possibili (una volta lo chiamavano clientelismo). E' come se, all'improvviso, ci si accorgesse dei bisogni sociali: dell'aumento del costo della vita e delle differenze di status. O, della necessità di risarcire le vittime di politche sbagliate, e dell'impatto che hanno su di esse fenomeni esterni ed inaspettati.
Negli ultimi anni, tra i vari bonus divenuti famosi ricordiamo: quello degli 80 euro, che giusto dieci anni fa l'astuto democristiano Renzi adoperò "per comprarsi" quella classe operaia da lui precedentemente falcidiata per mezzo della contrattazione aziendale, il jobs act e l'abolizione dell'art. 18; i tanti bonus del camaleontico avvocato Conte, che in piena crisi economica-pandemica, in uno slancio di genio economicistico pensò di adottare per le più disparate situazioni. Tra questi quelli relativi ai monopattini, il bonus vacanze e il discutibile superbonus del 110% per la riqualificazione energetica e sismica.
Misure nate con l'intento di rilanciare i consumi e far riprendere l'economia, le ultime però, nonostante un aumento esponenziale di lavoro per le imprese gravano pesantemente sulle casse statali. Il tratto comune di tali provvedimenti è che, mancando di una visione strategica, non essendo strutturali, riescono a dispiegare gli effetti nel breve termine, tuttavia le conseguenze nel lungo periodo sono da appurare.
Ricordano l'efficacia dei contratti di lavoro a termine, i quali dopo aver dato un pò di ossigeno, una volta non rinnovati, disperdono i risultati positivi. D'altro canto giocare con le aspettative altrui rientra tra i compiti di chi, come classe dirigente, non ha nulla da rimetterci. Ora è la volta della donna-mamma (fuori dal matrimonio)-italiana, politica navigata e piena di astio, abile nell'inventare i prodigi di un governo nazional-familistico, inteso come manifestazione evolutiva del nepotismo di una volta, ed attribuirsi meriti.
Il classico governo autoritario, che tra uno scandalo e l'altro preferisce accanirsi con gli ultimi (in perfetto stile fascista) e fa l'agnellino quando ad alzare la voce sono i mercati o gli interessi imperialistici. Il bonus pensato al momento prevede 100 euro per i dipendenti fino a 28 mila euro, i soliti sgravi per le assunzioni di giovani, donne e categorie svantaggiate. Misure a cui assistiamo da circa un quarto di secolo, propagandistiche e fini a se stesse, e che nessun miglioramento hanno apportato su qualità e sicurezza dei lavori, o sulla stabilizzazione e l'incremento salariale degli stessi. Qualcuno dovrebbe far notare come decenni di decontribuzioni ed aiuti alle imprese abbiano portato benefici solamente alla parte datoriale, a cui di certo non stanno a cuore le vicende esistenziali dei lavoratori.
Un bonus grezzo al pari di una prima ministra che non trascura gli attacchi pieni di livore nei confronti degli avversari politici, i quali, sia pur contigui alle economie della gerarchia e dello sfruttamento, almeno esteriormente appaiono più presentabili. Non è questione di stile, per quanto la forma sia importante. Il punto è dove si vuole andare a parare. Ed attiene la concretezza di provvedimenti che più che bonus fanno malus.
Tutti si muovono nella direzione di un asservimento, che metta la vita votata unicamente alla ricerca di un lavoro in grado di dare il miraggio di quella sicurezza economica come via di uscita dalla precarietà esistenziale.
Sino a che a tenerne le redini saranno questi principianti arroganti diverrà difficile pensare ad un cambiamento. Le alternative non sono entusiasmanti, ma almeno un approccio diverso può far recuperare un barlume di civiltà.