Quantitative Easing: la quiete prima della tempesta
Nel Consiglio Direttivo di giovedì 4 giugno la Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso un nuovo potenziamento del suo programma di acquisti di titoli pubblici dei Paesi europei, il cosiddetto Quantitative Easing (QE): si tratta dell’ennesimo ampliamento dell’arsenale messo in campo dalla banca centrale per fare fronte alla pandemia di Covid-19, con un programma dedicato, il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), che entro il giugno 2020 impegna la banca centrale ad acquistare 1.350 miliardi di euro aggiuntivi rispetto all’originario QE varato nel lontano 2015. Il principale effetto di tali acquisti è quello di garantire alla BCE il sostanziale controllo dei tassi di interesse sul debito pubblico. Si sta diffondendo l’idea che la potenza di fuoco del QE rappresenti di per sé una garanzia per il debito pubblico di tutti gli Stati membri: si ritiene che il costo del nostro debito pubblico sia tanto minore quanto maggiori siano gli acquisti della BCE, a prescindere da come tali acquisti siano distribuiti tra i titoli di Stato dei diversi Paesi. Questo equivoco riposa sull’ignoranza del meccanismo attraverso cui la BCE distribuisce i suoi acquisti tra i titoli di Stato dei diversi Paesi membri, ed è utile ad alimentare il mito dell’Europa solidale e di una BCE impegnata a proteggerci con tutta la sua autorità dalle tempeste finanziarie.
Ma le cose non stanno così. Negli anni, la BCE ha dimostrato di utilizzare la leva del QE per condizionare la politica economica degli Stati membri dell’Unione europea: se un governo tentenna nella rigida applicazione dell’austerità, la BCE riduce i suoi acquisti di titoli di Stato di quel particolare Paese, producendo così un rialzo nei tassi di interesse, l’ampliamento degli spread ed un clima di instabilità finanziaria. Gli spread misurano esattamente la differenza tra i tassi dei diversi Paesi, e dunque rispondono non tanto al livello degli acquisti operati nel QE quanto, piuttosto, alla distribuzione di questi acquisti tra i titoli di Stato dei diversi Paesi. Spostando il peso dei suoi acquisti da un Paese all’altro, la BCE è in grado di creare instabilità finanziaria dal nulla. È il ricatto del debito, ed il QE ne rappresenta un ingranaggio fondamentale. Per questa ragione, la dimensione del QE, che è stata appena aumentata, costituisce una buona misura del potere che la BCE ha di influenzare la politica economica dei singoli Paesi dell’Unione europea tramite l’arma dello spread, e non la misura del grado di protezione accordato dall’autorità monetaria al debito pubblico di tutti i Paesi europei. Maggiori sono gli acquisti, maggiore è il grado di controllo esercitato dalla BCE sulle nostre economie: fuori da qualsiasi meccanicismo, quel controllo viene orientato da scelte che sono tutte politiche, e vedono l’autorità monetaria europea in prima fila nell’imposizione dell’austerità.
Gli acquisti effettuati nell’ambito del QE seguono una precisa regola che disciplina la loro distribuzione tra i titoli di Stato dei diversi Paesi, la cosiddetta regola della quota di capitale: gli acquisti devono rispettare la proporzione in cui ciascun Paese partecipa al capitale della BCE (quota capitale o capital key). Questa partecipazione è rigida e predeterminata (dipende dal numero di abitanti e dal PIL dei vari paesi): all’Italia spetta il 17% degli acquisti, mentre alla Germania – socio di maggioranza della BCE – il 26%. È dunque evidente che l’ordinaria operatività del QE tende ad ampliare gli spread, perché sostiene il debito pubblico tedesco più di quello di tutti gli altri Paesi dell’Unione, Italia inclusa. Da quando è stato varato il nuovo programma PEPP, però, non si è visto alcun sostanziale ampliamento degli spread, che sembrano invece soffocati dalla massa di acquisti massa in campo dalla BCE.
Questo fenomeno deriva dal fatto che la BCE sta derogando alla regola della quota di capitale: secondo i dati della stessa banca centrale, nei primi due mesi di operatività del programma PEPP sono stati acquistati titoli di Stato italiani per 36,4 miliardi su un totale di 172,7 miliardi di euro di acquisti. Ciò significa che l’Italia ha ricevuto più del 21% dei nuovi acquisti. Poiché la regola della quota di capitale impone alla BCE di dedicare all’Italia solo il 17% di quegli acquisti, l’autorità monetaria ha messo in atto una deviazione dal percorso prestabilito che supera i 4 punti percentuali. La deviazione dalle capital keys ha consentito alla BCE di contenere lo spread dell’Italia nei primi mesi della crisi. Purtroppo, però, è la stessa BCE a mettere in chiaro una cosa: tale deviazione non può che avere carattere temporaneo. In altri termini, la banca centrale si è espressamente vincolata alla regola della quota di capitale nel lungo periodo, ammettendo margini di flessibilità solamente nel breve periodo, per far fronte a situazioni straordinarie come quelle che si sono manifestate nei primi mesi di pandemia. Come illustrato dalla stessa BCE:
per quanto concerne gli acquisti di titoli pubblici nell’ambito del PEPP, il riferimento (benchmark) per l’allocazione tra i Paesi sarà la quota di capitale … Al tempo stesso, gli acquisti saranno condotti in maniera flessibile. Ciò rende possibili fluttuazioni nella distribuzione dei flussi di acquisti nel tempo, tra titoli e tra Paesi.
Dunque è chiaro: l’Italia sta beneficiando di una mera flessibilità nella distribuzione degli acquisti. Tuttavia, come spiega la BCE, poiché si tratta di mere “fluttuazioni”, abbiamo davanti a noi un orizzonte ben definito in cui la banca centrale ridurrà il peso dei titoli di stato italiani nel QE al fine di ritornare sul sentiero della capital key.
Qui emerge un punto politico fondamentale per interpretare quello che accadrà al nostro Paese nei prossimi mesi. L’attuale calma sui mercati finanziari, che ha consentito all’Italia di indebitarsi a tassi di interesse relativamente contenuti, è una calma apparente e non poggia su alcun elemento strutturale della politica monetaria. Al contrario, tra i pilastri della politica monetaria europea vi è la regola che impone alla BCE di tornare, prima o poi, sui binari delle chiavi di capitale: in parole povere, nei prossimi mesi la banca centrale dovrà ridurre drasticamente la quota di acquisti destinata all’Italia in modo tale da replicare all’interno del programma PEPP le proporzioni cristallizzate nel proprio capitale. Pertanto, il QE si configura come una pistola puntata alle tempie del governo italiano: nei prossimi mesi lo scudo della BCE si dovrà necessariamente abbassare, e dunque l’Italia sarà esposta alle pressioni dei mercati finanziari. A quel punto, l’unica ancora di salvezza per evitare il vortice dell’instabilità finanziaria sarà l’accettazione dei prestiti che le istituzioni europee hanno predisposto: MES o Recovery Fund, purché l’Italia accetti un prestito subordinato alla condizionalità, alla sorveglianza rafforzata dei conti pubblici, ad un programma di riforme lacrime e sangue. È il vicolo cieco dell’austerità in cui ci stanno spingendo con tutte le armi a loro disposizione, inclusa la flessibilità del QE, che ci permette di respirare oggi solo al prezzo di una stretta monetaria che sarà impossibile evitare, e che è inscritta nella regola che impone acquisti proporzionali alle quote del capitale della BCE.
In conclusione, piuttosto che unirci ai festeggiamenti per la decisione della BCE di potenziare il suo QE, dovremmo iniziare ad organizzare la resistenza al ricatto del debito che quel programma di acquisti necessariamente impone. Per sottrarci alla spada di Damocle dell’austerità che ci verrà offerta come condizione per la stabilità finanziaria, dobbiamo dunque avere l’ambizione di mettere in discussione l’intero impianto della politica monetaria europea, le sue regole e le sue istituzioni, rompendo lo schema che vuole condannarci ad anni di precarietà, disoccupazione e salari da fame. Uno schema di cui la BCE rappresenta la punta di diamante.
Coniare Rivolta è un collettivo di economisti