QUOTA 100: LA PRIMA VITTIMA DEL RECOVERY FUND
di Thomas Fazi - il paragone.it
Il Recovery Fund neanche esiste ancora (il piano deve ancora essere approvato da tutti i parlamenti nazionali; campa cavallo, insomma) ma già comincia a mietere le sue prime vittime. Proprio in questi giorni, infatti, Giuseppe Conte ha dichiarato che Quota 100 non sarà rinnovata.
Si ritorna, dunque, alla logica che da vent’anni a questa parte ispira le politiche pensionistiche (parzialmente invertita dalla misura del governo giallo-verde): aumentare sempre di più l’età pensionistica – cioè costringere chi un lavoro ce l’ha a lavorare sempre più a lungo – con la sempiterna scusa che “non ci sono i soldi” (cioè quei numeretti che le banche centrali creano regolarmente sui loro computer, ma lasciamo perdere).
La notizia ha ovviamente scatenato il solito chiacchiericcio politico-mediatico. Nessuno però si è preso la briga di far notare l’aspetto più importante della vicenda: ovverosia che la decisione di cancellare Quota 100 non è un colpo di testa di Conte o una semplice resa al PD, uscito ringalluzzito dalle recenti elezioni regionali, ma una conseguenza diretta dell’adesione (entusiastica, ahinoi) dell’Italia al piano di “aiuti” europei – che per ora, come detto, esiste solo sulla carta.
Per poter accedere ai fondi del Recovery Fund, infatti, i paesi beneficiari dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche per paese (country-specific recommendations) della Commissione europea, oltre ai nuovi obiettivi (“Green Deal” e digitalizzazione), in linea con la sorveglianza rafforzata dei bilanci nazionali prevista dal “Semestre europeo”. Riforme strutturali, insomma.
Ora, è cosa nota che Quota 100 non è mai andata giù alla UE. Nelle sue raccomandazioni dell’anno scorso, la Commissione invitava esplicitamente l’Italia ad «attuare pienamente le passate riforme pensionistiche», ossia la Legge Fornero, «al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica». Più chiaro di così si muore.
E ora, grazie alla pandemia (non lasciare mai che una crisi vada sprecata, come si suol dire), la Commissione dispone finalmente di un dispositivo efficacissimo per imporre le proprie raccomandazioni – in materia di pensioni ma non solo – anche ai governi più recalcitranti, riassumibile nel concetto “niente riforme, niente soldi”.
Questo Conte lo sa benissimo – perché l’Italia possa avere accesso ai fondi del Recovery Fund la prima cosa da fare è eliminare Quota 100 – e si è dunque portato avanti col lavoro, da bravo maggiordomo di Bruxelles.
Adesso forse risulterà più chiaro, anche ai più duri di comprendonio, cosa intendevamo quando scrivevamo che il Recovery Fund non è altro che un MES sotto smentite spoglie – anzi, peggio ancora, un MES all’ennesima potenza – che comporterà il controllo politico totale della politica economica dell’Italia e degli altri paesi più “fragili” (cioè quelli con un alto debito, e dunque particolarmente dipendenti dalle flebo della BCE, in cambio delle quali però i paesi sono tenuti a rigare dritto), affidando a Bruxelles un potere di intervento sempre più ampio in materia di riforma fiscale, del mercato del lavoro, del welfare, delle pensioni ecc.
Questa è la vera polpetta avvelenata del Recovery Fund: l’usurpazione definitiva di quel minimo di autonomia di bilancio – e dunque di democrazia – che ci era rimasta.
L’eliminazione di Quota 100 è anche la conferma di quanto annunciato dal governo: in cambio dei fondi del Recovery Fund, che andranno a pesare anche sul deficit e non solo sul debito, l’Italia sarà tenuta ad adottare «una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza nel medio termine dopo la forte espansione del deficit»: cioè più tasse e/o meno spese.
L’Italia, come detto, si sta portando avanti col lavoro: del Recovery Fund non abbiamo ancora visto un centesimo, ma intanto già arrivano i primi tagli. A partire da Quota 100.