Se cade Tripoli: la nuova Libia tra Haftar e Saif Gheddafi

Sarà uno scontro tra Russia e Turchia?

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Se cade Tripoli: la nuova Libia tra Haftar e Saif Gheddafi

 

di Michelangelo Severgnini per l'AntiDiplomatico

 

Mahmoud Abdel Aziz, membro della Fratellanza Musulmana di Misurata in Libia e pertanto legato da vincoli di sopravvivenza con le milizie della Tripolitania, ha così recentemente commentato gli ultimi avvenimenti in Libia, dando la sua personale ma impietosa visione delle cose e lanciando il suo grido disperato d’aiuto:


“Dobbiamo prepararci a una battaglia decisiva con il campo di Rajmah (le forze di Haftar) e queste bande. I capi di stato maggiore e i comandanti di battaglione devono prepararsi a combattere una battaglia feroce con coloro che saccheggiano le nostre ricchezze e combattere questi corrotti.

Hanno falsificato la valuta e comprato armi da ogni parte, e a Tripoli c'è silenzio. Non so perché il Consiglio presidenziale tace su quanto sta accadendo, e come può accettare le promozioni dei figli di Haftar? Non è lui il Comandante Supremo delle Forze Armate?

È strano che alcuni parlino del governo di Dabaiba nella regione orientale, ma nessuno parla dei 59 miliardi (di dinari libici, circa 10 miliardi di euro) e di dove sono finiti? La Banca Centrale della Libia ora non appartiene al governo di unità (GNU, il governo di Tripoli) e Naji Issa (Presidente della Banca Centrale Libica) deve assumersi la responsabilità, fermare gli sprechi e affrontare il campo della corruzione e della criminalità”.

Mentre i criminali delle milizie di Tripoli fanno avanti e indietro impunemente con l’Italia, gli stessi stanno diventando sempre più nervosi una volta tornati in Libia.

Il processo politico di unificazione della Libia che aveva portato alla nomina di Abdulhamid Dabaiba a primo ministro a Tripoli è fallito nel dicembre 2021, quando le elezioni che quel governo era stato incaricato di organizzare, non si sono tenute, improvvisamente annullate per evitare che Saif Gheddafi, figlio del colonnello, fosse eletto presidente.

Da allora Dabaiba è rimasto premier del governo di Tripoli, senza voto di fiducia del parlamento libico ma con il sostegno occidentale, costringendo il parlamento a dare la fiducia ad altri governi, di base a Bengasi, tra cui quello attualmente in carica guidato da Osama Hammad.

Il processo politico naufragato nel dicembre 2021 era seguito al tentativo di liberazione di Tripoli da parte delle forze dell’LNA, l’Esercito Nazionale Libico sotto il comando di Khalifa Haftar, lanciato nel 2019 e fallito in seguito all’intervento militare turco.

Da allora sono cambiate molte cose.

A cominciare dalla nomina del nuovo direttore del NOC, Farhat Bengdara, nel luglio 2022 e quella di nuovo presidente della Banca Centrale Libica la scorsa estate, Naji Issa.

Là dove non erano riuscite le forze militari, è riuscita la diplomazia degli uomini di Haftar, che hanno fatto buon viso a cattivo gioco e hanno puntato a smontare dal di dentro il meccanismo di auto-finanziamento delle milizie di Tripoli sulla base del contrabbando del petrolio libico così come raccontato nell’Urlo.

In sostanza, come denunciato da Mahmoud Abdel Aziz in apertura di articolo, ora il petrolio libico viene saccheggiato come allora, ma i proventi illegali non finiscono più, o non soltanto, nelle tasche delle milizie, ma confluiscono anche nelle tasche di qualcuno a Bengasi.

Non solo. Sono spariti 59 miliardi di dinari libici (circa 10 miliardi di euro) dalle casse del governo di Bengasi, come denunciato in queste ultime settimane. Dove sono finiti?

Queste sono le domande che si pongono ora, terrorizzate, le milizie della Tripolitania, fedeli alla “rivoluzione” che portò all’assassinio di Muammar Gheddafi.

Già, perché qualcuno ha fondati motivi di credere che tutti questi soldi nel frattempo siano andati a consolidare le capacità operative dell’LNA.

Dal Raduno dei Rivoluzionari di Misurata, roccaforte delle milizie della Tripolitania, sono ancora più precisi: “I rinforzi militari di Haftar potrebbero trascinare la Libia in una nuova ondata di conflitto. Siamo preoccupati per i continui movimenti militari delle forze di Haftar e per la presenza di avanzamenti accelerati sostenuti dai più grandi rinforzi da molto tempo a questa parte.

Questi pericolosi rinforzi militari, condotti al di fuori del quadro della legittimità e del consenso nazionale, minacciano la stabilità della Libia e rappresentano un'escalation militare che comporta gravi conseguenze per la sicurezza e l'unità della Libia

Mandiamo un chiaro messaggio ad Haftar: se pensa di muoversi verso la capitale o una città dell'ovest, i corpi dei suoi soldati saranno il carburante per la battaglia, e questa volta la trascineremo verso una fine da cui non c'è ritorno.

Il tempo dei negoziati con gli assassini è finito, e il progetto di Stato civile non sarà seppellito per mano di generali ambiziosi, e chi vuole tornare al dominio militare sarà riportato a spalla nelle pattumiere della storia. La Libia non è in vendita, la rivoluzione non è in vendita e chi bussa alle porte della guerra troverà solo l’inferno”.

L’LNA raduna truppe e armamenti a Sirte, in direzione di Tripoli. Ormai tutti se ne sono accorti in Libia.

Nel frattempo la Russia ha preso il controllo di diverse basi militari libiche nel centro-sud come Al-Jufrah e Brak Al-Shati, il porto di Tobruk e la Turchia rafforza le sue posizioni a Tripoli.


Sarà uno scontro tra Russia e Turchia?

Non è detto. A ben guardare, come segnaliamo da tempo, gli interessi di Russia e Turchia in Libia convergono, la prima interessata ad utilizzare il sud della Libia come base logistica per le operazioni in Africa e la seconda interessata al petrolio libico.

Potrebbero ognuna prendersi quel che serve senza disturbarsi a vicenda.

Se la Turchia si fa da parte di fronte ad un’ipotetica avanzata delle forze dell’LNA verso Tripoli, Haftar entrerà facilmente nella capitale, come non gli riuscì nel 2019.

Il budget per questa operazione sembra essere stato trovato: quei 59 miliardi di dinari libici scomparsi.

O forse utilizzati per oleare i rapporti con la Turchia.

Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, da diverso tempo non nasconde, anzi vanta, i rapporti ricostruiti con Bengasi, in particolare con Haftar e i suoi figli. Saddam Haftar, ormai figura chiave all’interno dell’LNA, è stato più volte in Turchia nell’ultimo anno a discutere di armi. L’altro figlio, Belgasem, è stato a sua volta in Turchia per discutere di sviluppo, insomma di soldi.

La Turchia non gioca più il ruolo di “protettrice di Tripoli”, ma ha in pochi anni costruito le basi diplomatiche per un solido rapporto con Haftar e le autorità di Bengasi, del resto quelle che materialmente dispongono delle immense risorse della Libia.

Persino l’imprenditoria italiana si sta nuovamente affacciando verso Bengasi attraverso il tramite del figlio di Haftar, Belgasem, quello svelto a contare i soldi. Del resto, come raccontato più volte negli ultimi anni, ormai Tripoli controlla poco o niente delle risorse libiche e gli affari si fanno a Bengasi.

Ma perché le autorità di Tripoli non intervengono? Perché le grida disperate di aiuto vengono lasciate agli ultimi fedelissimi della “rivoluzione” del 2011?

Forse perché nel frattempo è stata creata una società privata per la vendita del petrolio, da molti considerata incostituzionale, alla guida della quale sono stati nominati Ibrahim Al-Dabaiba, figlio del primo ministro di Tripoli, e Saddam Haftar, figlio del più celebre feld-maresciallo.

Mah, chissà. Ad ogni modo, ognuno, tranne i “rivoluzionari”, sta portando a casa qualcosa.

E questa potrebbe essere una buona notizia, finalmente, visto che i “rivoluzionari” di soldi in tasca dal traffico di petrolio di contrabbando e di esseri umani ne hanno messi a volontà nell’ultimo decennio.

Se non fosse che l’istituzione di compagnie private libiche per la vendita del petrolio è esattamente tutto ciò contro cui Muammar Gheddafi si è sempre adoperato, già nazionalizzando le compagnie straniere alla presa del potere nel 1969.

Anzi, proprio dalla gestione oculata e pubblica di quella ricchezza, Saif Gheddafi aveva lanciato, negli ultimi anni prima del 2011, il progetto “Libya Tomorrow”, che prevedeva importanti investimenti infrastrutturali in tutta la Libia: la costruzione di edifici popolari a Derna e Bengasi, lo stadio di Bengasi, strade, acquedotti. Tutti progetti i cui fondi erano già a disposizione e che sono stati portati a termine in questi ultimi anni sotto la supervisione di Belgasem Haftar che ha provato ad intestarsene la paternità.

Ma i cittadini libici non sembrano essersi dimenticati da dove quei progetti fossero partiti, se lo stesso Saif Gheddafi gode tuttora di un vasto consenso al punto da essere ormai il solo motivo per cui, dal dicembre 2021, le elezioni in Libia non si tengono.

La famiglia Dabaiba e la famiglia Haftar hanno deciso così.

Il 14 febbraio scorso ad Addis Abeba, durante un vertice dell’Unione Africana, è stato avanzato un documento per la riconciliazione della Libia chiamato “Carta di Addis Abeba”. Il Presidente della Repubblica del Congo Denis Sassou Nguesso, che presiede anche il Comitato di alto livello dell'Unione Africana sulla Libia, promotore di questo processo, ha dichiarato nel suo discorso ai partecipanti il 14 febbraio: “Il nostro più fervido desiderio è che la riconciliazione inter-libica che celebriamo oggi qui ad Addis Abeba contribuisca a spianare la strada per la creazione di un governo unico, di istituzioni sovrane uniche. Questa riconciliazione deve accelerare la creazione di uno Stato unitario che eserciti una sovranità piena e indipendente su tutto il territorio libico”.

Sotto gli occhi dell’Unione Africana chi ha firmato questo documento da parte libica? Solo l’inviato di Saif Gheddafi. Erano assenti e non hanno firmato i rappresentanti di Tripoli e di Bengasi.

Chi ha il potere oggi in Libia teme le elezioni, teme la vittoria di Saif Gheddafi.

Turchia e Russia sono avvisate.

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Il suo film “L'Urlo" è stato oggetto di una censura senza precedenti in Italia.

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