Si prospetta la fine del tradizionale “sodalizio” tra Stati Uniti e Israele?
di Paolo Arrigotti
Non lasciano adito a dubbi o interpretazioni le dichiarazioni di Noam Chomsky, filosofo e linguista, rese qualche giorno fa all’emittente araba Al Jazeera: “Il governo israeliano sta apertamente rompendo con gli Stati Uniti per la prima volta”, accusando alcuni esponenti dell’Esecutivo di ultra destra, al governo dello stato ebraico – i nomi sono quelli del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e di quello delle finanze Bezalel Smotrich – di stare seriamente minando le relazioni tra i due stati, finora mai messe in discussione1. Al fine di evitare ogni strumentalizzazione, visto l’uso e l’abuso che spesso viene fatto (in Italia e altrove) di parole come “antisemitismo” o “razzismo” ricorderemo che Chomsky, oltre che autorevole studioso, è da decenni un attento osservatore della politica internazionale; politicamente parlando, lui stesso si è definito un “socialista libertario”, con tratti anarchici2. Ma soprattutto, Chomsky proviene da una famiglia di origine ebraica dell’Europa orientale, cosa che non gli ha mai impedito di assumere posizioni molto critiche verso la politica dello stato ebraico e degli USA, sua patria d’adozione.
Chiaramente sarebbe del tutto pretestuoso pensare di riassumere in poche parole il pensiero politico dell’autore, per il quale rinviamo alla lettura di capolavori come Manufacturing consent: the political economy of the mass media del 1988 e Understanding power: the indispensable Chomsky pubblicato nel 2002, disponibili anche in lingua italiana. Ci limiteremo a riprendere quello che è il fulcro della sua teoria circa i mezzi di comunicazione, ispirato al concetto della “fabbrica del consenso”, che sostiene un utilizzo pervasivo dei mass media per orientare l’informazione nel senso voluto dai possessori delle maggiori testate - spesso i grandi gruppi economici internazionali – col fine ultimo di influenzare e/o indirizzare nel senso voluto la pubblica opinione3. Una costruzione non molto distante da quella elaborata, a suo tempo, dal nostro Pierpaolo Pasolini.
Ribadendo che questa non può e non vuole essere una lezione sul lavoro di Chomsky, prenderemo spunto dal suo pensiero critico per affrontare un argomento di grandissima attualità: il nuovo corso del Medio Oriente, dove si intravedono importanti segnali di cambiamento, oramai quasi all’ordine del giorno. Abbiamo già parlato della svolta a destra segnata dalle ultime elezioni israeliane, come dell’accordo storico tra Iran e Arabia Saudita, reso possibile dalla mediazione cinese. Il passo successivo potrebbe essere – usiamo il condizionale, in attesa di conferme ufficiali – la pace per il tormentato Yemen4, funestato da un conflitto quasi decennale.
Inoltre, è di questi giorni la decisione dell’Opec+ (a trazione russo-cinese) che, non aderendo alle opposte richieste di Washington, ha varato un nuovo taglio per l’export di greggio5, proprio mentre Pechino e Riyad stanno rafforzando i loro legami6, pattuendo di regolare il loro interscambio di petrolio in yuan e non più in dollari. In che modo questa evoluzione delle relazioni tra blocco russo cinese e paesi del Medio Oriente, tradizionali alleati degli statunitensi (pensiamo solo all’Arabia Saudita) si potrebbe collegare alla potenziale crisi, preannunciata da Chomsky, nelle relazioni tra Washington e Tel Aviv, sinora il loro più fedele alleato nella regione?
Che la virata a destra in Israele avrebbe messo una seria ipoteca per il processo di pace tra israeliani e palestinesi ve lo avevamo preannunciato, e per la verità non occorrevano grandi capacità divinatorie per prevederlo, vista e considerata la composizione del governo israeliano, che vede la partecipazione delle componenti più estremiste; un esempio pratico arriva dalla recente decisione di restringere ulteriormente le attività costruttive dei palestinesi7. Ma il discorso è molto più ampio e complesso, perché a venire in gioco non sono più soltanto i già esasperati rapporti tra lo stato ebraico (dal 2018 proclamato per legge “casa nazionale del popolo ebraico”8) e la componente araba, che ha visto una nuova escalation dopo l’episodio della moschea di Al Aqsa9, ma gli equilibri di una delle regioni più tormentate del pianeta, per lo meno dal secondo dopoguerra in poi10.
Non è certo un caso se lo stesso Chomsky, pure favorevole alla nascita dello stato ebraico, si sia più volte espresso per la soluzione negoziale ispirata alla logica dei due stati, criticando le politiche colonialiste e antiarabe professate dai governi degli ultimi decenni (e vi lasciamo immaginare cosa possa pensare dell’attuale Esecutivo…)11. Solo per incidens, rammentiamo che la logica dei “due stati” non è frutto della mente sopraffina di Chomsky, ma è contenuta in una serie di documenti ufficiali rimasti, purtroppo, solo sulla carta; solo per citarne alcuni, ricorderemo due risoluzioni delle Nazioni Unite: la 181 del 1947, che la contemplava espressamente, e, più di recente, la 2334 del 201612, che condannava i nuovi insediamenti ebraici in territorio palestinese.
L’appoggio degli States è stato determinante, perlomeno sinora, per garantire Israele da pressioni troppo forti per abbandonare una linea sempre più estremista nell’approccio alla questione palestinese. Ricordiamo che sotto l’Amministrazione Trump, nel 2020, sono stati sottoscritti gli accordi di Abramo, che hanno permesso di allacciare formali relazioni diplomatiche tra lo stato ebraico e diversi paesi arabi (tra i quali Bahrein ed Emirati Arabi Uniti) ed è sempre sotto la presidenza del tycoon che l’America ha riconosciuto la sovranità sulle alture del Golan e lo status di Gerusalemme quale capitale d’Israele. Gli accordi di cui sopra non hanno, però, coinvolto l’Arabia Saudita, riluttante proprio a causa della questione palestinese, con la quale tuttavia Israele ha da tempo una sorta di canale non ufficiale, favorito dalla comune avversione al “nemico” iraniano. Il fatto è l’intesa tra i due tradizionali rivali del Medio Oriente ora potrebbe cambiare tutto.
Così come ad influire sui rapporti tra USA e stato ebraico potrebbe essere il crescente interesse di Washington per il teatro dell’Indo Pacifico13. Oramai non è un mistero per nessuno che il “vero nemico” per l’America sia la Cina, sempre più vicina alla Russia, il che potrebbe indurre Washington – come di fatto già sta avvenendo – a retrocedere da altri fronti, come per l’appunto il Medio Oriente. Se volessimo ipotizzare uno scenario, l’unico elemento che potrebbe ancora tenere “agganciati” gli americani sarebbe il desiderio di non consentire che Pechino incassi nuovi e importanti successi diplomatici (vedi la pace in Yemen), ma visto l’andamento delle cose – un discorso analogo potremmo farlo per l’Africa, dove sembra che gli USA si stiano muovendo per un cambio di passo14 – non è detto che sarà agevole. Anche perché, più che di successi cinesi, si potrebbe e dovrebbe parlare di gravi errori della politica a stelle e strisce in certe aree del pianeta, dove un mix tra paternalismo e conflittualità ha finito per esasperare molte delle popolazioni coinvolte, che non ci si può stupire se oggi finiscano per intravvedere in Cina (e Russia) nuove e interessanti opportunità.
Questa lunga premessa, per dire che se mutassero gli interessi strategici di Washington in Medio Oriente, sulla spinta di una modifica più complessiva degli equilibri geopolitici internazionali, perfino la tradizionale amicizia con Tel Aviv potrebbe subire dei contraccolpi. E nell’attuale quadro una simile prospettiva sarebbe particolarmente infausta per lo stato ebraico, che se nella tradizionale rivalità tra sauditi e iraniani vedeva una sponda, ora privata (come sembra plausibile) di questa ultima, potrebbe intravvedere in un cambio di passo da parte dell’America il pericolo di ritrovarsi “solo” in un ambiente ostile. Con questo non stiamo dicendo che l’amicizia tra USA e Israele sia giunta al capolinea: non pensiamo questo, casomai riteniamo che sarebbe più sostenibile l’idea di un mutamento, che preluda all’abbandono di una linea troppo estremista, che obiettivamente non sta portando nessun tipo di vantaggio e creando il presupposto per nuove conflittualità.
E non dimentichiamo che le fin troppo note ragioni storiche e politiche che sono alla base della tradizionale alleanza tra americani e israeliani – nelle quali si intrecciano questioni storiche, finanziarie, geopolitiche15, financo lobbistiche16 - non hanno mai impedito, specie negli ultimi anni, una serie di riserve da parte della Casa Bianca sulle politiche di espansione della “sola democrazia del Medio Oriente”.
E si badi bene che la stessa famosa soluzione (datata 1947) della pace coi due stati – dalla quale l’attuale governo è distante anni luce – non è affatto estranea a Washington. Riprendiamo le parole di due segretari di Stato americani, di due amministrazioni differenti. “L’unico modo di garantire un futuro a Israele come stato ebraico e democratico è di dare anche ai palestinesi un loro stato a cui hanno diritto è la cosiddetta soluzione dei due stati. Ma è difficile nel breve termine vedere una qualunque prospettiva realistica di riuscita in tal senso.” (Antony Blinken, segretario in carica, gennaio 2021). E ancora: “Non è possibile difendere e proteggere Israele se lasciamo che ogni possibilità di arrivare alla soluzione dei due stati venga distrutta sotto i nostri occhi,” (John Kerry, 2016, dichiarazione resa in occasione del voto alla risoluzione 2334, il primo nel quale gli Stati Uniti non posero il veto)17.
Se è innegabile che con Trump, come ricordavamo, l’America sembrava aver manifestato nuove e forti aperture verso il premier Netanyahu, finora il cambio di inquilino alla Casa Bianca, con l’arrivo di Joe Biden, non sembra aver preluso a grossi stravolgimenti nei rapporti tra i due stati. Ma potrà ancora essere così con l’evoluzione che abbiamo descritto e i segnati che arrivano dal Medio Oriente? Inoltre, si avvicinano le presidenziali americane del 2024, in occasione delle quali gli equilibri internazionali potrebbero essere un nuovo e importante terreno di scontro.
A parole Stati Uniti e Israele hanno ribadito a più riprese la loro incrollabile amicizia – anche se da Tel Aviv è arrivata la precisazione che lo stato ebraico è indipendente e sovrano, con una chiara allusione al rigetto di qualunque forma di pressione18 - ma esistono forti incertezze sul futuro. Una di queste riguarda la tenuta stessa dell’attuale governo israeliano, con un crollo di consensi certificato dagli ultimi sondaggi19 e dalle sempre più partecipate manifestazioni di piazza (dovute, però, più a ragioni interne, che internazionali20). E nel panorama geopolitico le incognite abbondano, dalle tensioni crescenti tra Israele e Iran21, a quelle nell’Indo Pacifico per la questione di Taiwan22.
In questo contesto, Israele, specie di fronte a un rifiuto circa un cambio di passo su certe linee (quelle denunziate da Chomsky) rischia di trovarsi sempre più isolato, con un governo, diciamolo, che sta creando più problemi che prospettive, dentro e fuori i propri confini. E il punto sta proprio in questo: non si può, né si dovrebbe confondere il benessere di un paese (e/o di uno o più popoli) con quello di un governo, peggio ancora con quello di un certo leader. Un discorso che dovrebbe valere per tutti i paesi, Israele incluso.
FONTI
Israeli leadership breaking with US for first time - Chomsky | Al Jazeera Newsfeed – Canale YouTube Al Jazeera english – link: www.youtube.com/watch?v=u5YD2USp1oo
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www.repubblica.it/economia/rubriche/far-east/2023/04/03/news/sempre_piu_stretti_i_legami_tra_cina_e_arabia_saudita-394266109/#:~:text=La%20Saudi%20Aramco%20ha%20firmato,presenza%20nel%20Paese%20del%20Dragone.
www.remocontro.it/2023/04/04/opec-meno-petrolio-in-beffa-alle-richieste-usa/
www.aljazeera.com/features/2023/4/11/palestinians-face-expulsions-as-israel-tightens-hold-on-west-bank
www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-i-rischi-della-nuova-legge-sullo-stato-nazione-21068
podcast.ilsole24ore.com/serie/le-voci-sole-24-ore-AEOcD15B/israele-raid-moschea-riaccende-escalation-AEPuoxDD
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www.limesonline.com/cartaceo/china-first-in-asia-lamerica-rischia-di-perdere
www.affarinternazionali.it/stati-uniti-africa-tecnologia-infrastrutture/
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1 Israeli leadership breaking with US for first time - Chomsky | Al Jazeera Newsfeed – Canale YouTube Al Jazeera english – link: www.youtube.com/watch?v=u5YD2USp1oo
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4 www.lindipendente.online/2023/04/09/lo-yemen-e-a-un-passo-dalla-pace-dopo-8-anni-di-guerra/
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9 podcast.ilsole24ore.com/serie/le-voci-sole-24-ore-AEOcD15B/israele-raid-moschea-riaccende-escalation-AEPuoxDD
10 https://www.youtube.com/watch?v=NC8Nv7A9grc (video di Nova Lectio sulla storia dello stato ebraico)
11 chomsky.info/dissent01/
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13 www.limesonline.com/cartaceo/china-first-in-asia-lamerica-rischia-di-perdere
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15 formiche.net/2014/08/perche-gli-stati-uniti-amici-israele/
16 www.ossin.org/uno-sguardo-al-mondo/analisi/1208-chomsky-riflessioni-su-sionismo-questione-palestinese-e-impero-usa
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21 www.limesonline.com/notizie-mondo-questa-settimana-israele-libano-iran-russia-tatarsky-ue-macron-cina-sudan/131703
22 www.limesonline.com/rubrica/taiwan-usa-visita-tsai-ing-wen-ma-ying-jeou-macron-cina