Sos spesa previdenziale per il personale della PA?
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di Federico Giusti
Cosa si cela dietro alle preoccupazioni della Ragioneria dello Stato?
I dati presentati dalla Ragioneria dello Stato sulla spesa pensionistica relativa al personale della PA sono strettamente connessi con quanto accade sul Trattamento di fine servizio la cui erogazione, non in tempi biblici, è fortemente ostacolata per ragioni economiche ossia la tenuta della finanza pubblica.
Si parla di deficit delle pensioni statali pari, a fine 2022, a 15’970 miliardi di euro.
Le spiegazioni possono essere molteplici ma anche contraddittorie, la spesa previdenziale cresce perchè molti dipendenti sono ormai arrivati all'età della pensione, magari in ritardo di anni proprio per l'avvento della Fornero. Poi la elevata età media del personale, il blocco del turn over ossia la rinuncia, per lunghi 9 anni, a nuove assunzioni, le regole in materia di spesa di personale concepite da Bruxelles secondo i dettami dell'austerità, la progressiva riduzione degli organici che riguarda da anni l'intero settore pubblico. Avere ritardato il momento dell'uscita per migliaia di dipendenti ha permesso all'Inps una boccata di ossigeno per alcuni anni ma prima o poi sarebbe arrivato il momento della pensione. Oggi la Pa è composta in prevalenza da dipendenti vicini alla pensione ma non si dice che da qui a pochi l'anni l'importo dell'assegno pensionistico, calcolato con il sistema contributivo, scenderà vistosamente e, per salvaguardare il futuro potere di acquisto previdenziale, molti e molte decideranno di posticipare l'uscita dal lavoro solo per arrivare a un assegno dignitoso.
L’incidenza della spesa pensionistica per i dipendenti pubblici, in rapporto al PIL, è cresciuta, il Pil stagna, elevato resta il numero di lavoratori e lavoratrici ormai arrivato alla soglia del requisito massimo oltre il quale non è possibile restare al lavoro.
L'invecchiamento della forza lavoro nella PA rappresenta un problema per la stessa erogazione dei servizi ma rappresenta anche l'occasione propizia per giustificare ulteriori processi di privatizzazione.
E in nome della salvaguardia della previdenza pubblica, per evitare uscire anticipate dal lavoro, blindata la Fornero e davanti al progressivo aumento della aspettativa di vita (da cui dipende l'uscita dal lavoro), era quasi scontato il richiamo della Ragioneria dello Stato finalizzato non solo a mantenere inalterata la spesa previdenziale (cosa impossibile perchè le uscite saranno assai più numerose delle entrare) ma anche a rilanciare in grande spolvero la previdenza integrativa.
Solo nei prossimi dieci anni più di un terzo dei dipendenti pubblici andrà in pensione e lo spauracchio della spesa previdenziale fuori controllo allontana l'attenzione dai reali problemi in cui si dibatte il settore pubblico a partire dalla crisi del sistema sanitario nazionale.
Si fanno strada le solite ricette ( perdenti) per la forza lavoro secondo le classiche logiche di ridimensionamento del pubblico.
Per fare solo alcuni esempi sarà incentivata la previdenza complementare a partire dai prossimi contratti, verranno favorite fiscalmente sanità e pensioni integrative. Ma non è da escludersi un preventivo intervento correttivo sulle norme previdenziali oggi vigenti e potremmo imbatterci nell'aumento dell'età lavorativa o nella revisione dei sistemi di calcolo per alleggerire l'assegno previdenziale spostando sempre più avanti la data di uscita dal mondo del lavoro.
E invece di guardare alla stagnazione del Pil tornano a suonare i tamburi che annunciano l'ennesima riforma strutturale del sistema previdenziale; da qui a credere che i futuri interventi siano destinati a favorire i salariati corre grande differenza ma non mancheranno le campagne mediatiche e sindacali atte a giustificare l'ingiustificabile.