Trump afferma che l'Iran è cambiato. Scossone per Israele

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Trump afferma che l'Iran è cambiato. Scossone per Israele



Piccole Note
 


Per Trump la presenza dell’Iran in Siria non è più un problema. Una dichiarazione, resa ieri in una conferenza stampa che ha mandato in fibrillazione mezzo mondo.


Siria: l’Iran si ritira?


Per Trump, infatti, Teheran sta ritirando le forze che ha inviato in Siria a supporto di Assad. Ciò perché lo smantellamento dell’accordo sul nucleare iraniano e la riproposizione delle sanzioni la stanno mettendo in difficoltà.


Insomma, gli iraniani hanno gravi problemi interni da affrontare e ciò non gli consente di alimentare la propria influenza nella regione.


Le parole di Trump hanno scosso Israele, preso già alla sprovvista dalla sua decisione di ritirare le truppe americane dalla Siria.


I giornali israeliani hanno messo in risalto un passaggio del suo discorso: “Francamente penso che l’Iran possa fare quel che vuole” in Siria.


Estrapolate dalle altre considerazioni, queste parole hanno fatto scattare l’allarme a Tel Aviv, perché sembrano sottendere un’impossibile disinteresse di Washington riguardo Israele, che percepisce l’influenza iraniana come una minaccia esistenziale.


Di convergenze e Terrore


Trump ha stupito anche sulla minaccia terroristica, spiegando che solo “una piccola percentuale” dei terroristi dell’Isis ha nel mirino gli Stati Uniti.


In realtà essi minacciano molto più l’Iran e la Russia, che, tolte dallo scacchiere le truppe americane, dovranno sostenere un confronto più arduo contro il Terrore.


La spiegazione di Trump vuol confutare la tesi ricorrente, che vede il ritiro dalla Siria come un regalo a russi e iraniani. Ciò per allontanare da sé l’accusa che lo rincorre da sempre riguardo suoi asseriti rapporti indebiti con Mosca.


Detto questo, se in effetti è difficile negare che il ritiro americano favorirà russi e iraniani, è pur vero che può avere effetti stabilizzanti sulla regione o quantomeno eliminare uno dei fattori di instabilità, determinato dall’ambiguità della presenza americana in Siria.


Ambiguità che va letta tenendo presente l’affermazione inconfutabuile di Trump, che cioè l’Isis odia più Iran e Russia che non Israele (vedi articolo del Jerusalem Postche evidenzia convergenze tra Israele e Isis contro l’Iran), i Paesi arabi sunniti (che finanziano masnade jihadiste contigue all’Isis) e l’Occidente.


Su quest’ultimo punto l’ambiguità si fa più stridente, soprattutto se si tiene presente che l’Isis è stato eradicato dalle zone della Siria sotto il controllo di Mosca e Damasco, mentre prospera nell’area controllata dagli Usa.


Il fatto è che tale ambiguità nasce dalla contrapposizione tra i due interessi alla base dell’intervento Usa in Siria: contrastare l’Isis e contenere l’influenza di Teheran.


Se si tiene presente l’articolo del Jerusalem Post succitato, si può comprendere come tali spinte contrastanti rendano la lotta al Terrore da parte delle forze Usa confusa e inefficace.


I guai dei tribuni della plebe


Al di là delle contraddizioni, la conferenza stampa di Trump ha evidenziato anche quanto sia potente l’opposizione alla sua decisione di ritirare le truppe.


Trump aveva infatti ordinato un ritiro a breve. Quasi tutti i media del mondo ieri riportavano che il presidente era stato convinto a dilazionare i tempi, fissando il termine del ritiro a quattro mesi.


Quando gli è stato chiesto di questa tempistica il presidente americano è caduto dal pero, spiegando che lui non aveva mai detto quanto gli è stato attribuito. Diniego che è stato poi superato da altre indiscrezioni anonime filtrate sui media americani che confermavano i quattro mesi…


Più i tempi sono dilazionati, più i guastatori avranno agio di porre ostacoli al ritiro. Quattro mesi sono tanti e, peraltro, davvero eccessivi per soli 2mila uomini.


Forte dunque l’opposizione all’odiato presidente isolazionista che vuol dismettere i panni di gendarme del mondo.


In difficoltà, i suoi oppositori pensano già al 2020, anno in cui sperano di mandarlo a casa. Da qui il più che anticipato annuncio della candidatura della democratica, liberal-clintoniana, Elizabeth Warren.


E, in parallelo, le accuse di molestie avanzate a Bernie Sanders, la cui candidatura vincente in ambito democratico porrebbe fine all’egemonia liberal su tale partito, ridisegnando un’America guidata dai due tribuni della plebe, Trump e Sanders appunto. Per neocon e liberal, che da destra e sinistra hanno governato l’Impero negli ultimi decenni, sarebbe la fine.

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