Trump e la demolizione (controllata?) della globalizzazione
Quello che (forse) non hai compreso della strategia dei dazi annunciata da Trump il 2 Aprile
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Tanto tuonò che piovve. Donald Trump, in quello che egli stesso ha definito il “Liberation Day”, ha dato il grande annuncio dell'imposizione di dazi sulle merci importate negli Stati Uniti da tutto il mondo. Gli unici paesi esclusi dal provvedimento sono la Russia, la Corea del Nord e la Bielorussia perché già paesi soggetti a sanzioni e con l'interscambio commerciale con gli USA sostanzialmente azzerato e il Canada e il Messico già precedentemente colpiti. Gli altri paesi, comprese le più sperdute e disabitate isole del Pacifico o dell'Atlantico, sono state colpite non tanto a causa del loro misero interscambio commerciale intercorrente con gli USA ma per scoraggiare qualsiasi velleità di creazione di “paradisi dell'export” da cui intraprendere triangolazioni. Credo che questo possa essere considerato come un segno che alla Casa Bianca intendono andarci fino in fondo. Ovvero intendano continuare con queste politiche fino a quando l'annoso problema dello squilibrio della Bilancia Commerciale (e anche quello finanziario) con il resto del mondo non verrà definitivamente risolto.
Lo stesso Peter Navarro, consigliere di Trump per il commercio internazionale ha dichiarato che l'Amministrazione americana intende conseguire un gettito di 250 miliardi di dollari dai dazi sulle automobili importante e ben 600 miliardi all'anno da tutti i beni importati nel loro complesso. Si tratta di una cifra monstre, che però è assolutamente necessaria nella speranza di rimettere in sesto i conti nazionali statunitensi al limite del collasso in stile argentino. L'unica cosa che a mio avviso ha salvato gli USA da una altrimenti certa sorte argentina è l'enorme influenza diplomatica e culturale che questo paese esercita, e soprattutto il suo mastodontico deterrente militare comprensivo di 6000 testate nucleari che fungono da garanzia di ultima istanza sul suo enorme debito estero.
Molto interessante notare come i dazi sono stati calcolati per ogni singola nazione. Gli esperti della Casa Bianca hanno preso il Deficit Commerciale USA verso la nazione X, poi lo hanno diviso per le importazioni sempre dal paese X. Infine hanno diviso per due il coefficiente ottenuto dalla precedente frazione. Molti commentatori si sono immediatamente sbracciati ed hanno dichiarato di considerare un non sense logico il metodo di calcolo utilizzato.
Personalmente ritengo questo metodo di calcolo molto interessante. L'assunto di partenza – secondo lo scrivente – è che gli americani stimano che le merci americane di qualunque settore merceologico esistente al mondo sono almeno al pari del miglior prodotto realizzato in qualunque altra nazione al mondo. Se è vero questo assunto (e gli USA nel loro metodo di calcolo lo considerano vero) la bilancia commerciale americana deve essere quantomeno in pari verso qualunque altra nazione al mondo. Se così nella realtà non è questo dipende dai dazi espliciti e impliciti che le altre nazioni fanno gravare sui prodotti americani: questo è il ragionamento dell'amministrazione USA.
Siccome così non è, nella logica del governo statunitense, il rapporto tra il rapporto tra (deficit commerciale USA vs X ) / (Importazioni X verso USA) è esattamente il coefficiente che rappresenta la stima dell'insieme delle barriere dirette (dazi veri e propri) e indirette che tarpano le ali ai prodotti Made in USA, dove per barriere indirette bisogna intendere tutto, dall'IVA sulle importazioni (effettivamente quella europea è ben più alta di quella USA) fino alle barriere amministrative date da tutti quei blocchi e proibizioni come, per esempio, le regole più stringenti in Europa sugli OGM oppure le regole amministrative molto gravose come quelle imposte dalla UE, fino ad arrivare alla celeberrima misurazione europea della circonferenza delle vongole che ha come obbiettivo quello di fermare con una regola vessatoria al limite del comico l'import di questo prodotto proveniente dai paesi extra europei. Con l'ulteriore divisione per due del coefficiente ottenuto gli americani hanno imposto quello che sarcasticamente lo scrivente ha definito “Fattore John Wayne”: gli americani sembrano dire ai loro competitor mondiali che in realtà non è che i prodotti USA sono alla pari con gli altri ma sono mediamente il 50% più competitivi, pertanto possono permettersi di dimezzare il “coefficiente di Fair Trade” ottenuto dalla frazione illustrata qui sopra!
Ma a cosa serve avere una bilancia commerciale positiva come la vorrebbe Trump?
Avere un surplus di bilancia commerciale consente agli stakeholders (azionisti, lavoratori ma anche fornitori) delle imprese esportatrici di accumulare risparmi e dunque ricchezza che a sua volta verrà reinvestita e che alla lunga porterà anche ad un surplus nel Saldo delle Partite Correnti ed infine ad una Posizione Finanziaria Netta positiva. Che il punto sia questo è stato confermato anche dal Segretario al Commercio USA Howard Lutnick che durante una intervista concessa alla trasmissione “Face the Nation” della CBS ha dichiarato apertamente che: «penso che il punto sia che bisogna resettare il potere degli Stati Uniti d'America e poi ripristinarlo sia nei confronti dei nostri alleati che dei nostri nemici. L'idea che tutti i paesi del mondo possano fare eccedenze commerciali con l'America e comprare successivamente con il ricavato i nostri asset (aziende, titoli, azioni ecc. NdA) da noi non è corretto, Ricordo che si tratta di 1,2 trilioni di dollari all'anno ormai. Nel 1980 eravamo un investitore netto - il che significa che possedevamo più assets del resto del mondo di quanto il resto del mondo ne possedesse dei nostri […] E ora loro ne possiedono 18 trilioni di dollari in più di noi, sono creditori netti . Quindi questo significa che il resto del mondo acquisendo ormai 1,2 trilioni di dollari di avanzo commerciale acquisterà ulteriori 1,2 trilioni di dollari di assets americani... e peggiora e peggiora! Alla fine non saremo più proprietari dell'America; il proprietario sarà il resto del mondo!».
Da notare poi che - forse per pudore - lo sconsolato Howard Lutnick ha parlato di un passivo di posizione finanziaria netta pari a -18000 miliardi, quando in realtà è stata abbondantemente superata la soglia siderale di - 26000 miliardi di dollari!
Dal punto di vista di chi scrive, anche se i dazi USA si rivelassero pienamente efficaci e già dal 1 Gennaio del 2026 assistessimo al miracolo della bilancia commerciale USA (ricordo che l'ultimo anno in cui ciò è avvenuto era il 1971) magari anche grazie al contributo dei tagli alla spesa pubblica fatti dal DOGE di Musk che comunque si tradurranno in demolizione di domanda aggregata e conseguentemente in meno importazioni, bisogna comunque dire che prima che si recuperino i -26000 miliardi di passivo di posizione finanziaria netta serviranno lustri e che ben difficilmente gli USA avranno così tanto tempo per mantenere l'egemonia mondiale nei confronti delle potenze emergenti come Russia e Cina, peraltro legate da una profittevole alleanza.
Quindi non possiamo escludere che in realtà la strategia dei dazi come annunciata da Trump il 2 Aprile, giorno ribatezzato come il “Liberation Day” sia soltanto la prima fase di una strategia più complessa e aggressiva e che vede nell'inflazione il suo cardine. Infatti se quest'ultima viene vista dai critici di Trump come un effetto collaterale gravissimo della strategia dei dazi, potrebbe essere, al contrario, che l'inflazione sia un effetto voluto per impoverire nel breve e nel medio termine appositamente il popolo americano così da costringerlo a consumare meno senza imporre esplicitamente tasse. Di questo parleremo a breve.
(FINE PRIMA PARTE)