Una rete di mercenari a guida Usa pronti al golpe in Venezuela

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Una rete di mercenari a guida Usa pronti al golpe in Venezuela


di Geraldina Colotti 

 

“Abbiamo sequestrato oltre 400 fucili di vario tipo che sarebbero serviti per atti di terrorismo nel paese, e che provengono dall’esercito statunitense”. Così, durante una conferenza stampa internazionale, il ministro venezuelano degli Interni, Giustizia e Pace, Diosdado Cabello ha illustrato ai giornalisti la scoperta di una vasta rete di mercenari pronti ad assaltare le istituzioni del paese. Le armi – ha spiegato Cabello – arrivavano in Venezuela smontate in contenitori che recavano diciture innocue come “cibo per cani”, e venivano poi prese in consegna da gruppi legati all'estrema destra, che avevano il compito di rimontarle.

Durante l'operazione – una lunga indagine dell'intelligence di cui Cabello ha spiegato dettagliatamente le tappe, ma che non è terminata – sono stati arrestati tre statunitensi, due spagnoli e un ceco. E un altro statunitense, un “turista” a cui premeva soprattutto fotografare le strutture elettriche o industriali, è stato arrestato successivamente. Attori di un'operazione destabilizzante su vasta scala, organizzata dalla Cia con il concorso di mercenari francesi e spagnoli, a vantaggio dell'estrema destra venezuelana.

Emerge che a tirare le fila sono alcuni nomi noti de golpismo venezuelano, come Iván Simonovis, Juan Pablo Guanipa, Julio Borges, i quali, nonostante i loro costanti dissidi interni, sostengono in questo modo i piani di Maria Corina Machado. A due mesi dalle violenze elettorali scatenate dopo le presidenziali del 28 luglio, Machado ne aveva preannunciato la replica per il 28 settembre. E questa operazione sventata ne sarebbe stata il fulcro, avendo l’obiettivo di uccidere il presidente e i vertici del governo bolivariano: per consentire all’estrema destra di andare “fino in fondo”, secondo lo slogan che Machado grida ai quattro venti.

“Hanno contattato mercenari francesi e dell'Europa dell'est per attaccare il nostro paese”, ha detto Cabello, mostrando il profilo degli arrestati. Tra questi, spicca un militare delle forze speciali Usa, Wilbert Joseph Castañeda, impiegato in diverse missioni all’estero, in Afghanistan, in Iraq, e in Colombia.

Il Pentagono ha confermato l’appartenenza di Castañeda all’esercito statunitense, ma ha negato ogni coinvolgimento nell’operazione destabilizzante. Anche il governo spagnolo si è detto estraneo e ha respinto “qualunque insinuazione” circa un suo coinvolgimento in questa operazione, affermando di sostenere una soluzione “democratica e pacifica per la situazione in Venezuela”.

Intanto, però, il capo del governo spagnolo, Pedro Sanchez, ha accolto a braccia aperte quello che considera un “eroe”, l'ex candidato-facciata di Machado, Edmundo Gonzalez Urrutia. E per questo ha suscitato le speranze della destra spagnola che, con una risoluzione non vincolante, approvata in parlamento, lo ha invitato a riconoscere ufficialmente l’ex candidato “come presidente legittimo del Venezuela”.

Intanto, si sono scatenati i “difensori dei diritti umani” per dipingere come angioletti gli arrestati e per accusare il governo venezuelano di “un ulteriore giro di vite nella repressione”. Dalla loro, hanno i potenti mezzi dell'informazione a guida Nato, che si dedicano a screditare la gravità e l'ampiezza di un piano destabilizzante, degno di quelli organizzati dalla Cia nel secolo scorso (il secolo del piano Condor e dei colpi di stato, diretti o per procura).

Un’operazione in qualche modo annunciata, d’altronde, da Erik Prince, fondatore della compagnia militare privata Blackwater, tristemente nota per i crimini compiuti contro gli iracheni. Per il 16 settembre, Prince aveva anticipato che il Venezuela stava per “cambiare rotta” e che vi sarebbero state “novità importanti da parte di Blackwater”.

Già a fine luglio, l’ambasciatore Samuel Moncada aveva denunciato la lettera con cui Prince chiedeva al governo nordamericano di aumentare la taglia su Maduro. E nel suo programma Con el Mazo dando, Cabello aveva mostrato i retroscena e i finanziamenti del progetto di Prince “Ya casi Venezuela”, il cui proposito – aveva detto – “è quello di rubare denaro attraverso le donazioni”.

E l’indagine del governo bolivariano ha mostrato anche il coinvolgimento di un altro mercenario europeo, appartenente al comando Z che, dal carcere, insieme ad altri esponenti della grande criminalità, controllava il traffico d’armi che è stato scoperto.

“Prepariamoci per dare battaglia su tutti i fronti – ha detto Cabello -, affinché il mondo sappia che il Venezuela continua a essere sotto assedio da parte degli Stati uniti, che il suo territorio è usato per il traffico di armi in vista di un colpo di Stato. Il mondo deve sapere che il Centro nazionale di intelligence (Cni) della Spagna è implicato fino al collo in questa operazione”.

Quindi, il ministro degli Interni venezuelano ha denunciato che, fra gli arrestati, ci sono gli autori di un lancio di granate contro l’ambasciata argentina, nella quale si erano rifugiati alcuni “terroristi di opposizione”, per far ricadere la colpa sul governo bolivariano.

Eppure, quella che in ogni pare del mondo sarebbe stata una notizia da prima pagina, in questo caso viene occultata, oppure minimizzata e messa in dubbio come un “supposto piano”, organizzato da “presunti mercenari”. Come già visto in precedenza, la tattica è quella di non entrare nel merito, per evitare di essere sbugiardati dall'evidenza dei fatti, mostrati con dovizia di particolari da Cabello alla stampa internazionale.

Per i media di guerra, l'importante è non riconoscere come un interlocutore alla pari chi non accetta di sottomettersi alla “voce del padrone” occidentale, che si attaglia alle urla di Machado pronunciate nei raduni fascisti, ma non sopporta la diplomazia di pace con giustizia sociale portata avanti dal socialismo bolivariano.

Non va dimenticato che, insieme a Bolsonaro junior e al capo dell’estrema destra spagnola, Santiago Abascal, Machado è firmataria della Carta di Madrid, il documento di fondazione dell’internazionale fascista, nata per contrastare con ogni mezzo la costruzione di un’alternativa al capitalismo per le classi popolari. Il fatto che una golpista con un curriculum così evidentemente di estrema destra venga spacciata per una campionessa della democrazia e dei “diritti umani” da parte delle “democrazie” europee, mostra quanto insidioso sia oggi il nemico da affrontare.

Il “Congresso mondiale contro il fascismo, il neofascismo e altre espressioni simili”, che si è concluso a Caracas lo ha messo a fuoco con chiarezza, invitando all’unità e alla costruzione di una nuova internazionale, che contrasti l’avanzata dell’estrema destra in ogni parte del pianeta. E che sappia, anche, per questo, smascherare le complicità di quella “sinistra” imperialista che le sta spianando il cammino.

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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