Una "rivoluzione culturale" contro la sottomissione alla non-cultura americana

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Una "rivoluzione culturale" contro la sottomissione alla non-cultura americana

di Pablo Baldi

Premessa. La cultura italiana ha un grosso problema: la sua sottomissione alla non-cultura americana. 
Molti italiani sono assuefatti dal mito del self-made-man. E l'uomo che si fa da sè, è quello che non si fa con la cultura, la quale non può esistere se non in forma relazione. La cultura è un qualcosa che si assorbe dall'esterno o si proietta all'esterno, cioè la propria completezza si realizza nei rapporti con gli altri. Ma il mito dell'uomo astratto, completo in sè, non ammette influenze esterne perchè sono vissute come vincoli alla libertà individuale. La libertà negativa, che finisce dove inizia quella altrui, è il contrario della cultura, che è ciò che condividiamo. L'uomo moralmente astratto, fuori dalla storia e completo in sè, è solo la maschera politica dell'uomo materialmente egoista, come evidenzia genialmente Marx in "Sulla questione ebraica".

Detto questo, i luoghi comuni per cui tutto era meglio prima hanno spesso un carattere classista. Specificamente: la casta chiusa della cultura alta si sente attaccata dall'accessibilità della cultura e corre ai ripari per paura di perdere il proprio monopolio della Cultura. È il tipico disfattismo reazionario dei privilegiati che non vogliono perdere il proprio privilegio.

Che la cultura, mediamente, sia piú frivola, è vero. Ma ciò è la conseguenza "matematica" dell'accessibilità della cultura. Cosí come i cittadini di una liberaldemocrazia sono mediamente meno sapienti politicamente rispetto a l'elite della polis che dedica la propria vita all'attività politica, i prodotti culturali dei cittadini del web sono meno elevati dei prodotti culturali della casta degli intellettuali, i quali dedicano la propria vita alla produzione culturale.

L'accessibilità della cultura permette a chiunque di diventare creatore culturale, abbassando la qualità media delle produzioni. Ma in questo pagliaio di cultura popolare, ci sono degli aghi di cultura popolare di ottima qualità. Infatti, l'uomo colto del 2025 non è un dotto che consuma tutti i prodotti culturali che si trova di fronte, ma è colui che sa come ricercare ciò che vale in mezzo a fiumi di spazzatura. È inutile intavolare il discorso se prima non si distingue ciò che và (quantità) da ciò che vale (qualità). E questo è proprio ciò che provano a fare i disfattisti reazionari per insabbiare le acque e confondere il discorso.

In nessun periodo la qualità è andata di moda tra le classi popolari. Scrollare i principali trend di tik tok e concludere che la cultura sia morta equivale a, se fosse possibile viaggiare nel tempo, farsi una passeggiata nei campi del medioevo e concludere che la cultura sia morta per la frivolezza dei canti popolari e l'ingenuità mostrata nelle credenze magiche. Solo che adesso la frivolezza e l'ingenuità sono mostrate fieramente "in pubblica piazza", cioè nel mondo virtuale interconnesso. Invece, del medioevo ci ricordiamo principalmente i prodotti della cultura alta, i lavori intellettualistici.

Piaccia o no: il web ha dato voce alla contro-cultura. Per quanto il potere politico possa mettere i bastoni tra le ruote alla libertà d'opinione, il controllo non può essere capillare per le infinite dimensioni della rete.

Certo, ogni volta che un grande bastione della contro-cultura viene censurato, è un duro colpo. Ma come i partiti politici banditi si ricostituiscono sotto un nome diverso, cosí fanno i promulgatori delle opinioni bandite.

Il problema che dobbiamo porci è: se nel web è possibile reperire una mole di informazioni e prodotti culturali validi vastissima, perchè questa possibilità non viene sfruttata da molti?

In altri termini: perchè la qualità non va di moda?

La mia risposta è: l'architettura sociale in cui viviamo non ci incentiva ad acculturarci, ad allenarci al ragionamento logico. Ciò che manca è il tempo e la volontà.

Il tempo manca perchè viene totalmente assorbito dalla specializzazione, richiesta per trovare i lavori dignitosi, almeno teoricamente. E per chi non si specializza, il tempo è assorbito interamente dal sostentamento, dall'arrivare a fine mese. Le energie sono prosciugate dal lavoro e, finito il turno, il cervello vuole solo spegnersi con l'intrattenimento frivolo.

La volontà manca perchè il ragionamento e la facoltà di prendere scelte non sono tra le prerogative del cittadino della liberaldemocrazia. Non che solo i colti sappiano ragionare e prendere scelte, ma sicuramente la cultura offre strumenti di pensiero e vari punti di vista, tutti da considerare al momento di dover prendere una decisione. E se ci ponessero davanti delle scelte decisive, la necessità di prendere una buona scelta stimolerebbe la comprensione del problema, fornendo una palestra di acculturamento.

Ma l'unica scelta che ci viene richiesta è una croce ogni 5 anni sul simbolo di un partito, concessa in base a criteri di vantaggio economico o simpatia per il leader. Ed essere piú colti, non ci fa "votare meglio".

La cultura sarebbe incentivata in un' organizzazione sociale che richiede ai propri membri di essere parte attiva del proprio stesso governo. Se le scelte del singolo fossero percepite come rilevanti, decisive, il singolo sarebbe incentivato a fare scelte ponderate, frutto di riflessione e confronto. 

Cioè, piú l'uomo astrattamente politico è ininfluente, piú l'uomo materialmente egoista diviene il protagonista di questa società della personalità duale. Piú il potere è del capitale, dei tecnocrati o dei burocrati, meno è necessario che io sia colto, visto che le scelte vengono prese PER me e non DA me.

Secondo me, la "rivoluzione culturale", cioè l'uso e la creazione, attiva e consapevole, della cultura da parte delle classi popolari, passa da queste due direttrici: conquista del tempo libero e conquista del potere da parte del popolo. Il popolo sarà colto se ne avrà il tempo e la motivazione. Il singolo investirà su sé stesso quando sarà fautore del proprio destino, cioè quando il suo pensiero potrà tradursi in azione. Tutto questo è possibile solo sottraendo la politica al potere economico per restituire la sovranità al suo legittimo detentore: il popolo, la classe lavoratrice.

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