Vera Pegna - Stato di Israele e crimini di sistema
Sullo sterminio di Gaza, l'AntiDiplomatico ha il grande onore di poter ospitare due editoriali scritti da una straordinaria penna come quella di Vera Pegna.
Vi pubblichiamo oggi il secondo e vi rimandiamo a qui per la lettura del primo.
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di Vera Pegna
A casa mia si parlava spesso di diritto e in particolare del diritto internazionale, considerato il punto d’intesa più alto raggiunto fra tutti gli Stati per vivere in pace. Il mio rapporto con il diritto è stato di grande rispetto, perfino di soggezione. Più tardi nella vita ho avuto la fortuna di incontrare due persone che hanno alimentato questi sentimenti, infondendo loro nuova sostanza.
La prima persona non l’ho mai conosciuta, perché assassinata dalla mafia, a Sciara, in provincia di Palermo pochi anni prima che il partito mi mandasse a Caccamo. Si chiamava Salvatore Carnevale, Turiddu, era un giovane bracciante animato da una passione politica forte e genuina. Lottava per i diritti dei braccianti, la sera leggeva l’Unità e cercava nel dizionario il significato delle parole che non capiva; spiegava ai contadini che la legge era dalla loro parte, che i loro diritti dovevano essere difesi e tutelati dalle istituzioni dello Stato e che ricorrere ai mezzi legali era giusto e faceva parte della lotta di classe. Per me che vedevo il diritto come un bene prezioso ma lontano, fuori dalla mia portata, la storia di Turiddu Carnevale fu una grande lezione di politica.
La seconda persona in ordine di tempo fu Lelio Basso, grazie al quale scoprii che il diritto non è il feudo dei giuristi ma un terreno della lotta di classe.
Durante i miei anni d’impegno a fianco del Vietnam il ricorso al diritto internazionale è stato continuo ma allora era tutto semplice, c’era uno Stato aggressore e uno Stato aggredito, c’erano i principi sanciti dai trattati internazionali e se ne denunciavano le violazioni.
Oggi non è più così: dopo essere stato calpestato dalle guerre condotte dalla Nato e dai suoi Paesi membri, Italia compresa, il diritto internazionale è impallidito e quasi si esita ad invocarlo. I guerrafondai hanno mano libera come impuniti rimangono tutti i governi israeliani responsabili delle infinite, quotidiane aggressioni contro i palestinesi. Invano l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite le ha condannate oltre 300 volte ma al Consiglio di Sicurezza gli Stati Uniti hanno opposto il loro veto. Vale la pena ricordare che lo Stato d’Israele è stato ammesso all’ONU – unico caso fra i suoi membri - alla condizione sottoscritta dall’allora ministro degli esteri, Abba Eban, di rispettarne tutte le deliberazioni.
Invece le aggressioni dello Stato d’Israele - non ultima quella in corso su Gaza - avvengono con il sostegno di uno o più dei suoi alleati occidentali e con l’impunità assicurata dal sistema coloniale che lo ha tenuto a battesimo. Oltre a coprire lo Stato ebraico in sede ONU, i suoi alleati tengono chiuse le bocche sull’arsenale nucleare israeliano clandestino poiché mai denunciato all’AIEA.
Davanti a tale realtà, mi arrovellavo per la mancanza di concetti e tanto più di strumenti giuridici atti a cogliere e collegare fra di loro le forze operanti a monte dei crimini israeliani, sì da far emergere l’intreccio di interessi e di alleanze serviti a far esistere lo Stato d’Israele. Per garantirne l’impunità è stato anche necessario offuscare, agli occhi dell’opinione pubblica, sia la sua funzione a guardia degli interessi geostrategici delle potenze occidentali, sia la portata del suo intervento internazionale in campo politico e militare.
Mi viene in soccorso Luigi Ferraioli che scrive: “ Ho perciò proposto di introdurre nel lessico giuridico e politico una nozione di “crimine” più estesa di quella di crimine penale, onde includervi anche quest’ampia classe di violazioni massicce di diritti e beni fondamentali pur non consistenti, come i crimini penali, in atti individuali imputabili alla responsabilità di persone determinate. Ho chiamato queste violazioni giuridiche “crimini di sistema”[1].
Dunque il concetto di crimine di sistema individua come causa comune di eventi funesti un sistema, quello delle forze avide e selvagge che agiscono entro il capitalismo neoliberista. Esse violano diritti umani, diritto internazionale e beni comuni. Operano in totale impunità anche grazie all’inesistenza, sul piano giuridico, del concetto di reato per qualificare tali eventi funesti e la conseguente assenza di istituzioni di garanzia (magistrati, tribunali, forze dell’ordine) investite del compito di indagare e di punire i colpevoli; tali violazioni rimangono dunque senza un responsabile il quale può proseguire indisturbato nella sua opera di devastazione.
Allora mi domando: l’aver costituito lo Stato d’Israele - un corpo estraneo piazzato dal sistema di potere coloniale e imperiale in mezzo al mondo arabo, in spregio di ogni principio di diritto internazionale (ma anche l’ONU, che diritto aveva di spartire la Palestina?) non configura un “evento funesto,” un “ crimine di sistema”? Tanto più che avallava il progetto sionista di uno “Stato ebraico,” altro evento funesto dato che comportava l’eliminazione della popolazione nativa. Che tale fosse l’obiettivo insito nel progetto sionista è ormai acclarato: di tappa in tappa, occupando e annettendo territori palestinesi, lo Stato d’Israele ormai domina l’intera Palestina storica dalla quale ha cacciato, o nella quale ha rinchiuso in ghetti sotto regime di apartheid, buona parte della popolazione palestinese; negli ultimi quattro mesi, a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha ucciso oltre 40 mila civili ai quali vanno aggiunti altri diecimila o più rimasti sotto le macerie e ridotto alla fame e alla disidratazione la restante popolazione. Secondo la Corte internazionale di Giustizia, è “plausibile “che si tratti di genocidio. In Cisgiordania i palestinesi uccisi in un mese sono stati più di quelli dell’ultimo anno, che già era stato il peggiore degli ultimi venti.
Né le cose potevano andare diversamente: lo Stato d’Israele è figlio dell’Europa antisemita che ha perseguitato i propri ebrei per secoli, poi ha assecondato – per il proprio tornaconto - il progetto dello “Stato ebraico” e coperto da oltre 70 anni i crimini commessi contro i palestinesi, come singoli e come popolo. Pertanto, in quanto complici attivi, i Paesi europei e gli Stati Uniti hanno le mani legate. Cianciano di un futuro a due Stati per non affrontare la sola prospettiva duratura nel tempo, cioè quella di uno Stato unico, non euro-israeliano bensì mediorientale, come vuole la sua posizione geografica: uno Stato laico e democratico dove gli attuali abitanti di Israele, della Cisgiordania e di Gaza, compresi i rifugiati, possano vivere con uguali diritti nella tradizione levantina di convivenza fra etnie e religioni. I sostenitori di questa proposta vengono accusati di antisemitismo e di voler “eliminare lo Stato d’Israele” sottintendendo chissà quale nefasta fine per gli ebrei. A costoro va risposto con sdegno e con fermezza che tale proposta è l’unica che permetta di intravedere un futuro di pace, semplicemente perché senza giustizia non c’è pace.
Si vis pacem cole justitiam.
[1] Luigi Ferraioli,” Perché una Costituzione della Terra”? Editore G. Giappichelli Editore