di Daniele Lanza
La quasi totalità dei miei colleghi osservatori disquisisce su quale sia il fake più clamoroso o la bufala più iperbolica della guerra d'informazione in corso: io dal canto mio sono partito con una mentalità talmente preparata all'idea del confronto su tutti piani (armato, intellettuale, memetico) che non vi ho fatto nemmeno troppo caso, dando le contraffazioni come scontate (e non si deve invece, perché se anche il fake non riesce a scalfire l'utente preparato, riesce benissimo a fuorviare quello impreparato, che numericamente è 20/30 volte superiore al primo).
Non ho gli strumenti e la volontà per fare analisi comparata e puntigliosa della guerra massmediologica in corso: non faccio - come molti altri (giustamente) fanno - il bollettino delle fake news sulla mia bacheca social. Quello che penso lo posso tuttavia esprimere ora con una riflessione un po’ più ampia, evidenziando un fatto elementare quanto macroscopico...ovvero che una cittadina di poco meno di mezzo milione di abitanti può cadere senza che la cosa venga ammessa ufficialmente: è una testimonianza muta che si esprime da sola nella sua enormità.
Milioni di caratteri riversati sui media in una mezza dozzina di lingue globali, giri di parole interminabili in quello che sembra uno spettacolo circense, fatto di immagini esasperate e piroette verbali decise solo a sottolineare la difficoltà dei russi: una loro grande nave affondata (trovato scritto a caratteri cubitali), conte di morti e feriti 3 o 4 volte superiori al numero reale, per non parlare di quelli che vorrebbero "eliminare Putin" e così via.
NESSUNO o quasi, riporta invece a chiare lettere che Mariupol è caduta in questi giorni (per arrivare al punto, insomma).
Preso il centro cittadino e la sede dell'amministrazione (quest'ultima imboscatasi chissà dove) la battaglia può dirsi conclusa, anche se le operazioni "sporche" di pulizia proseguiranno per molti giorni ancora. Sui notiziari si contano i peli del braccio del mercenario siriano o le tacche sul pacchetto di sigarette del milite ucraino mentre una città di oltre 400.000 abitanti capitola e la cosa non viene citata a chiare lettere da nessuno.
Forse si dà per scontato - visto il livello di distruzione - che si sia arrivati ad una vittoria de facto delle forze russe? Certo NON la si vuole consacrare con l'onore di un titolo da prima pagina, per motivi di orgoglio nazionale ucraino e per non alimentare indirettamente l'orgoglio filorusso con la notizia di una loro vittoria annunciata col megafono. Si suppone sia proprio così.
Si suppone che la logica sia: una città NON cade sinché la sua amministrazione non si è arresa e siccome formalmente a Mariupol nessuno si è arreso, allora è come se la città (moralmente) non fosse mai caduta: è soltanto "occupata dall'invasore".
Logica assolutamente ineccepibile da una prospettiva ultranazionalista ucraina (altro non mi aspettavo): non fosse che tale prospettiva è adottata integralmente, acriticamente, dai media di tutto l'occidente.
Bene. Stando così le cose, a questo punto è lecito proporre una replica in base ad una logica che ad un estremo ne contrappone un altro di segno opposto e che in concreto suona così: una resa FORMALE della città di Mariupol - per quanto umiliante, posso comprenderlo - avrebbe convenzionalmente messo in comunicazione l'autorità militare del Cremlino con la realtà amministrativa locale che rappresenta lo stato ucraino, con lo stabilirsi quindi di un rapporto - per quanto possa esserlo in una situazione di conflitto - tra l'elemento occupante e la realtà legale antecedente.
Al contrario, in ASSENZA di una resa formale, con fuga o latitanza dell'autorità politica locale che rifiuta di incontrare la parte russa, tale autorità politica può considerarsi estinta o rimossa per elementare assenza fisica da essa stessa decisa: la statalità ucraina cessa di esistere per scelta propria, preferendo l'annullamento al disonore della trattativa (il medesimo disonore che per essere evitato ha portato i nazionalisti ad una inutile resistenza ad oltranza che ha determinato un numero di perdite civili svariate volte maggiore di quanto avrebbe comportato una trattativa da subito: si è scelto l'onore sulla pelle della stessa gente di Mariupol che poi, essendo al 90% russa, non avrebbe perseverato fino alla distruzione radicale della propria città...difficile immaginarlo).
Riconosco per primo, in onestà intellettuale, che dalla logica dell'opposto estremo raramente nasce qualcosa di veramente equilibrato, ma in circostanze come queste (che, ricordiamolo, vanno oltre la politica convenzionale della quotidianità che conosciamo) rimane poco altro da fare: per chi crede in un diritto "naturale" che nasce dalla storia, la giovane statalità ucraina (30 anni di vita) ha annullato la legittimità legale di una sua presenza nella regione di Mariupol, che comunque si concluda il conflitto, non dovrebbe più tornare sotto Kiev in alcun caso.
Mariupol torna al Cremlino con il quale condivide una storia di unità politica che inizia nell'ultimo quarto del XVIII secolo (250 anni complessivi quindi, cui si tolgono i 30 dell'indipendenza ucraina post 1991).
Senza dubbio è estremo pensare questo, un ragionamento da nazionalismo russo, ma non privo di logica (considerando che i russi saranno comunque considerati colpevoli di ogni cosa a prescindere dall'esito finale del conflitto e sanzionati ulteriormente in tutte le modalità che sarà possibile, secondo un canone di guerra totale: se è così allora tanto vale tenersi cosa si è preso e amen. Leggi della storia).
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Per quanto riguarda il giornalismo invece: si continui pure a proporre in caratteri cubitali la distruzione di due motociclette russe, e con caratteri microscopici la caduta di un'intera città in Ucraina (!), l'informazione deve essere libera per carità.
Prima o poi i caratteri microscopici divoreranno fisicamente quelli cubitali.
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