Libia: una missione italiana a Bengasi racconta un'altra storia

Libia: una missione italiana a Bengasi racconta un'altra storia

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In questi giorni a Bengasi c'è una delegazione italiana composta dall'ex presidente della Commissione esteri del Senato, Vito Petrocelli, l'ex senatore e membro del Partito Comunista Emanuele Dessì, e il regista Michelangelo Severgnini (autore con la LAD Edizioni di l'Urlo: schiavi in cambio di petrolio). Il giornale diretto da Tommaso Cerno ha dedicato le prime due pagine del suo giornale per raccontare la "guerra nascosta" con un lungo articolo di Domenico Pecile che vi riproponiamo.




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di Domenico Pecile


GUERRA NASCOSTA - Reportage da Benqas Dove una missione italiana racconta un'altra storia. Dalla carneficina dell'Isis ai rapporti con Tripoli. Fra centri detentivi. E migranti in fuga. In viaggio con Emanuele Dessì e Vito Petrocelli

In via dell'Indipendenza, la principale arteria nel centro della città veccia, l'edificio del Consolato d'Italia è ridotto a un grumo di macerie. Ma tutta Bengasi è un susseguirsi di palazzi crivellati da colpi di mortaio, di case fatiscenti, di strade piene di macerie. Uno spettacolo che soprattutto la notte diventa spettrale. Una ex città tra le più floride della Libia devastata dalla furia omicida dell'Isis. Una città rasa al suolo. Una città e una regione, la Cirenaica, abbandonate da Europa e America a favore di Tripoli, la cui giunta militare e il governo fantoccio godono della protezione delle milizie "guidate da un criminale" e "finanziate anche con buona parte dei fondi che sarebbero destinati alla gestione del problema immigrazione".

Eccola, l'altra Libia. Quella di Bengasi. Quella dimenticata, oscurata, censurata, misconosciuta, abiurata. Eppure, la Cirenaica è la parte più prospera, più ricca di petrolio e di materie prime della Libia. Eppure lì, il Parlamento è stato eletto dal popolo. Eppure è lì che il terrorismo dell'Isis si è accanito con maggiore virulenza grazie alle armi "dei Paesi che come la Turchia e l'America appoggiano Tripoli". A raccontare una storia altra da quella "ufficiale" sono Vito Petrocelli, ex senatore dei 5 Stelle, Emanuele Dessi, membro del Partito comunista e Michelangelo Severgnini regista e scrittore, autore tra l'altro del libro e del film "L'Urlo" ed esperto di Libia. In questi giorni sono a Bengasi a toccare con mano "quello che non ci dicono", a parlare con la gente, a visitare i centri dove arrivano gli immigrati, a confrontarsi con esponenti del Governo. La loro visita è una sorta di corollario dei quattro anni di ricerca e di studio con centinaia e centinaia di interviste sul campo che Severgnini ha realizzato sia a Bengasi che a Tripoli. L'altro ieri sono stati accolti da Abdullah Al-Thani, ex premier che era assieme all'ex ministro degli Esteri, Abdul Hadi Al-Huweej, mentre ieri hanno incontrato, nelle rispettive sedi, il ministro della Difesa Ahmid Mouma e quello dell'Interno, Buzariba Issam.

Più tardi hanno avuto un colloquio con il capo della polizia e il colonnello che gestisce i due centri di prima accoglienza. Hanno trovato una situazione riferisce Dessi sul modello di Lampedusa, ragazzi giovanissimi accampati in questi stanzoni che non capiscono nemmeno dove sono. Probabilmente alla partenza gli hanno promesso un mondo diverso, facili guadagni e il miraggio di un benessere più millantato che reale.

E invece di una facile traversata del Mediterraneo si ritrovano in un Paese con tutte le terribili conseguenze che ne derivano dai tentativi di fuga, alle violenze, dalla disperazione alle torture che per legge riconosce come delinquenti chi entra nel suo territorio senza documenti. Storie, drammi, follia umana. "Bengasi e la Cirenaica racconta Dessi fermano questi ragazzi e cercano perlomeno di favorire il loro rimpatrio, mentre a Tripoli il governo coloniale con i finanziamenti che ottiene per tutt'altri scopi paga le proprie milizie. Bisogna fare capire che se una guerra c'è stata è perché l'abbiamo voluta noi, armando le fazioni, aizzando il popolo e i Paesi vicini anche con le rivoluzioni farlocche Sì, siamo noi i veri responsabili di quanto è accaduto e accade".

Negli ultimi 20 anni l'Italia giocava un ruolo importante, fondamentale nello scacchiere geopolitico del Mediterraneo. Quella peculiarità è stata abbandonata prima a favore delle Francia e poi della Turchia, che soltanto pochi lustri fa contava poco o nulla. E Francia, Turchia, Europa e America è il parere che va per la maggiore in Cirenaica non anno nessuna intenzione di dare una mano a Bengasi per aiutarla nella ricostruzione. La Cirenaica non ha fondi, non si può autofinanziare. Pare condannata sine die a vivere tra le macerie, come fosse una maledizione e non un castigo voluto.

"L'ex ministro degli esteri riferisce Dessi ci ha raccontato episodi drammatici della guerra contro l'Isis. Suo figlio di 9 anni è stato torturato. Eppure si dice pronto al perdono in nome di una Libia unita, pacificata e disarmata. L'obiettivo è anche quello di riallacciare i rapporti con diversi Paesi, in primis l'Italia, dalla quale però si sentono totalmente abbandonati, scaricati, dimenticati. Si chiedono con rabbia perché i soldi finiscano soltanto a Tripoli. Si, dimenticati e usati soltanto per fermare i ragazzi disgraziati che vogliono raggiungere l'Europa sui barconi della morte". Già, due Libie per un'unica polveriera che potrebbe esplodere da un momento all'altro con conseguenze imprevedibili, complici il caro vita e i continui blackout elettrici. Un paradosso micidiale, quasi incomprensibile, se si pensa che il Paese ospita i maggiori giacimenti di greggio del continente. Manifestazioni si sono ripetute in diverse città come Tripoli, Misurata, la stessa Bengasi allo slogan di "vogliamo la luce". Tra le richieste dei rivoltosi, che per lo più sono giovani, anche quella di abbassare il prezzo del pane. Ma l'Occidente fa finta o non vuole vedere.

Come si dimostra cieco è il parere della delegazione nei confronti della Cirenaica che politicamente e amministrativamente è di certo più vicina al modello occidentale rispetto alla "tirannide di Tripoli".

Tripoli e Bengasi, dunque.

Due Libie, soprattutto dal punto di vista politico e amministrativo. Quella "rappresentativa" che è quella di Tripoli appoggiata e foraggiata dalla Nato e della Turchia e l'altra, che racchiude la gran parte del Paese e che oltre ad avere il petrolio ha anche l'acqua che è un'altra immensa ricchezza. Non solo, ma è sostenuta da un parlamento legittimato frutto di elezioni democratiche e da un governo eletto dallo stesso parlamento che non nessuna intenzione di inasprire i rapporti con Tripoli.

"Il principale obiettivi politico del partito che ci ospita e che si chiama Movimento per il futuro della Libia sostiene sempre Dessi è quello di creare una Libia unita e quindi la Cirenaica ha tutto l'interesse a ritrovare 1 dialogo anche con quanti l'hanno abbandonata". La soluzione non è dietro l'angolo. La Cirenaica sostiene che dopi gli accordi del 2008 tra Berlusconi e Gheddafi la situazione è drammaticamente peggiorata. Anzi, adesso l'Italia usa il nostro esercito dicono a Bengasi come una sua polizia sul posto per fermare i migranti. Dovremmo avere un sostegno concreto. Da noi hanno riferito i rappresentanti del governo si è verificata una vera carneficina nel totale silenzio dell'Occidente. Siamo stati costretti aggiungono a fare tutto da soli, ci siamo procurati le armi nei pochi magazzini a disposizione oppure rubandole all'Isis. Ciò non ha impedito al nemico di radere al suolo intere città.

Qui è stata dimenticato ogni sacrificio umano, qui c'è da ricominciare quasi da zero, qui bisogna rimettere mattone su mattone. "E l'appoggio internazionale insistono i membri della delegazione ovviamente non c'è perché viene invece preferito il governo fantoccio di Tripoli". Dessi, Severgnini e Petrocelli si dicono comunque certi che prima o poi la Liberazione ci sarà. Certo, sarà necessario però che l'Occidente accetti libere elezioni, dopodiché dovrà rendersi conto che il vincitore sarà la parte a lui sgradita, ma forse capirà che questa parte garantirà una Libia unita e più democratica. Bengasi ha già pronto anche il nome del futuro presidente: Saif Gheddafi, figlio dell'ex Rais. Quello che abbiamo notato riferiscono ancora è la ripetuta, grandissima volontà di uscire dall'isolamento, di riallacciare rapporti con diversi Paesi, volontà che rimbalza ancora contro il muro di gomma dell'ostracismo occidentale. "E pensare che i governi italiani degli ultimi anni chiosano hanno progressivamente ridotto a un quarto i rapporti commerciali miliardari. Un paradosso, se si pensa alla nostra dipendenza energetica". 

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