2 maggio, il massacro di Odessa: le cicatrici indelebili nell’animo di Olga

2 maggio, il massacro di Odessa: le cicatrici indelebili nell’animo di Olga

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Domani è il 2 maggio 2022, sono passati otto anni dalla ‘Strage di Odessa’. Quarantotto persone assassinate nel più atroce dei modi e circa duecento rimaste ferite, questi i numeri ufficiali – molto sottostimati – dell’eccidio scaturito da una miscela di odio e crudeltà.

Crudeltà messe in atto da ucraini pro Euromaidan, tifosi di calcio ultranazionalisti, agenti infiltrati dei servizi di sicurezza e neonazisti (Pravy Sector in prima fila) nei confronti di chi era in piazza a manifestare a favore di una Ucraina federale e contro l’ultranazionalismo di estrema destra insediatosi al governo dopo il colpo di Stato appena compiuto.

Una delle manifestanti sopravvissuta a quella strage è “Eugenia Culicova”, autrice del libro inedito “Attraverso il fuoco per l’eternità”.

Il nome è uno pseudonimo, perché fino a pochi mesi fa non si sentiva ancora sicura di rivelare la sua vera identità, anche se dal 2015 l’Italia le ha riconosciuto lo status di rifugiata politica.

I traumi subiti quel 2 maggio nel massacro della Casa dei Sindacati sono cicatrici indelebili nell’animo di Olga (questo il suo vero nome) che è dovuta fuggire dall’Ucraina per sottrarsi a una serie di minacce che mettevano in pericolo la sua incolumità fisica oltre che la propria realizzazione umana.

Alcuni uomini delle nuove istituzioni ucraine, avendo saputo che lei era tra i manifestanti di Odessa, segnalarono il fatto a chi di dovere, e nell’estate del 2005, appena ritornata dall’Italia, dove era stata per una ricerca sui partigiani sovietici che combatterono con la nostra Resistenza, fu subito licenziata dal suo lavoro per ovvi motivi politici.

A quel punto, dice Olga, «mi resi conto che per me, nell’Ucraina ultranazionalista, sarebbe stato molto complicato trovare un nuovo impiego e sicuramente la mia vita non sarebbe più stata “tranquilla” come prima. Per questo presi la decisione di venire in Italia chiedendo l’asilo politico».

Olga insieme a molti altri suoi compagni era a Campo Kulikovo, e con le loro tende presidiavano la piazza dal 25 febbraio in opposizione al colpo di Stato che aveva già inserito neonazisti in importanti ruoli istituzionali.

I manifestanti avevano intenzione di organizzare anche una bella festa per il 9 maggio, ‘Giorno della Vittoria’ sulla Germania nazista da parte dell’Armata Rossa e del popolo sovietico.

Per loro quell’importante giornata celebrativa assumeva un significato simbolico ancor più grande che negli anni passati, perché avevano ben chiaro che la volontà politica della nuova Ucraina filo occidentale era quella di emarginare – con l’annientamento identitario e culturale – tutti i cittadini russofoni, relegandoli letteralmente a “classe subalterna”.

Alcune delle nuove “regole” imposte erano di quelle di «non parlare più in russo; chiusura dei canali televisivi russi; negazione della storia russa e sovietica nelle scuole; non distribuire più i film e la musica russa o sovietica; non poter festeggiare le feste tradizionali del periodo sovietico; e perfino insegnare ai bambini a odiare i loro amici russofoni.»

 

LETTURA CONSIGLIATA:

I CRIMINI DI GUERRA DELLA GIUNTA DI KIEV

DI ENRICO VIGNA (ZAMBON)

 

 

Fin qui ho riportato solo una piccola parte del lungo racconto che ho ascoltato da Olga mentre camminavamo sulle rive dell’Arno in un soleggiato fine settimana di marzo.

Pochi giorni prima mi ero imbattuto per caso in una pagina di crowdfunding dove leggo che “Eugenia Culicova” invita a versare un contributo di pochi euro per riuscire a stampare in totale autonomia il suo libro ancora inedito, e ne spiega anche il contenuto.

Non so nulla di “Eugenia”, ma decido di contattarla per ascoltare dalla sua viva voce quell’incredibile storia.

Ci mettiamo d’accordo per incontrarci nella bella campagna Toscana e un sabato mattina percorro 250 chilometri per raggiungerla.

Parla tanto, è un fiume in piena, vuole far conoscere la verità perché ancora la vede negata. Entra nei dettagli, e a volte, ascoltandola, riesco a fatica a trattenere l’emozione.

Faccio ritorno l’indomani verso casa, e Olga mi dice che è stata invitata in un talk serale di Mediaset. Poi “l’AntiDiplomatico” (che non sapeva nulla del mio incontro con lei) le fa una lunga intervista proprio sulla drammatica giornata del 2 maggio (motivo per cui ho rinunciato a scrivere l’articolo a suo tempo).

L’avevo rimandato per oggi, in occasione dell’anniversario, e anche per segnalare il libro inedito di “Eugenia Culicova”, augurandomi che qualcuno contribuisca alla riuscita della sua pubblicazione leggendo quanto da lei detto:

«Ho scritto il libro perché voglio che quella tragedia non si perda tra menzogne e negazioni, ma con la speranza che un giorno si possa studiare sui libri storia.

Raccontare la verità per me è un dovere, e lo è soprattutto nei confronti dei tanti compagni uccisi in modo atroce.»

Evito di raccontare molti degli eventi da lei vissuti in quella giornata (li ricorda tutti Olga nella citata intervista) ma in compenso pubblico un videoclip musicale realizzato per il brano “Mamma Odessa”.

Questo video, in soli quattro minuti e con un serrato montaggio, fa capire più di tante parole la disumana violenza messa in atto all’esterno della Casa dei Sindacati contro chi presidiava Campo Kulikovo, che è poca cosa confronto a quella esercitata all’interno dell’edificio (https://www.youtube.com/watch?v=W28NuIZ0xKk)

Molti degli odessini anti-Maidan difronte a quelle orribili violenze pensarono che la Casa dei Sindacati sarebbe stata il loro rifugio sicuro, e Olga era tra questi. Ma fu una trappola mortale, e gli eventi susseguitisi in quella giornata fanno pensare che fosse una trappola pianificata.

Olga, insieme ad altre donne, salgono al primo piano e preparano una sorta d’infermeria per il primo soccorso, ma poco dopo si rendono conto che è stata chiusa l’acqua e staccata la luce.

Qualcuno che era già all’interno sapeva bene dove era il quadro generale e la manopola principale dell’acqua, cosa non facile da trovare in un immenso edificio come quello.

Nel frattempo il fumo nero e tossico dei copertoni bruciati al pian terreno le costringe a lasciare la stanza ormai irrespirabile e rifugiarsi al secondo piano, evitando gli spari che attraversano i grandi finestroni sulla rampa delle scale, mentre in piazza giovani ragazze pro-Maidan continuano a confezionare bottiglie molotov come se fossero più esperte dei più pratici “bombaroli”. È chiaro che si erano preparate a dovere nei giorni precedenti.

E poi chi le aveva portate tutte quelle bottiglie in piazza? E il combustibile per prepararle dove stava nascosto?

Intanto al secondo piano Olga trova rifugio in una stanza dove c’erano già donne e uomini con l’intento di sottrarsi a quella disumana violenza.

Creano una barricata davanti la porta con il frigo e altri mobili per evitare l’ingresso a chi stava compiendo quel massacro, consapevoli che anche loro potevano esserne vittime.

Nel frattempo i vigili del fuoco arrivano con quarantacinque minuti di ritardo, trovando il sistema antincendio dell’edificio manomesso e le manichette tagliate, con le fiamme che avvolgono sempre di più l’edificio.

Purtroppo un gruppo di neonazisti scopre che Olga e i suoi compagni sono rinchiusi in quella stanza, e dopo vari tentativi di forzatura per aprirla uno di loro riesce a infilare il braccio all’interno e con un’arma spara a caso due colpi, ferendo uno degli uomini.

Alla fine sfondano la barricata, e armati di spranghe dimostrano tutta la volontà di mettere in atto la loro brutale violenza.

Per pura sorte Olga e le altre donne si salvano, ma gli uomini no.

Insieme ai neonazisti c’è anche qualcuno di Odessa – che non è tanto disumano come gli altri arrivati da città lontane – e si oppone al fatto che le donne subiscano violenza.

Il leader del gruppo neonazista, in mimetica militare, alla fine, con grande rabbia e contrarietà cede e accetta di farle uscire, e passando attraverso il cosiddetto corridoio della vergogna tra insulti, pugni e calci, Olga e le compagne riescono a mettersi in salvo da quell’inferno di fuoco e violenza.

Si sono salvate, ma indelebili cicatrici le accompagneranno a vita, come il ricordo dei loro compagni di Campo Kulikovo ammazzati a sprangate, a colpi di pistola, carbonizzati o martoriati sull’asfalto a colpi di bastone dopo essersi lanciati dalla finestra per fuggire alle fiamme o al fumo asfissiante.

Uno di loro era il poeta Viktor Gunn, amico di Olga, a cui è stato dato fuoco cospargendolo di benzina o chissà quale altro liquido infiammabile, ritrovato poi sul pavimento col corpo rigido e con gli occhiali ancora sul suo viso carbonizzato.

Viktor Gunn, ancor prima di entrare nella Casa dei Sindacati, intuendo i possibili pericoli le aveva detto:

«Olga, qualsiasi cosa mi accada, avverti mia moglie, ho dei brutti presentimenti.»

Oppure Vadim Papura (in sua memoria) un giovane adolescente di 17 anni che il giorno precedente, il 1° maggio, per celebrare la festa dei lavoratori era in prima fila nel corteo impugnando una rossa bandiera.

Anche se così giovane, mi dice Olga, “era un convinto comunista”.

L’avevano visto con quella rossa bandiera, e per questo hanno deciso di finirlo a sprangate, martoriando il suo corpo dopo che era caduto dalla finestra per sfuggire alle fiamme, perché per loro “un comunista, merita quella fine”.

Mi auguro tanto che Olga riesca a ritrovare in pieno la sua serenità qui in Italia – anche se non vuole dimenticare – e lo dimostra la sua tenace volontà nel volere pubblicare il suo libro.

Una volta arrivata nel nostro paese la prima persona che l’ha incoraggiata a farlo fu Giulietto Chiesa, lo stesso che commenta questo video pubblicato appena una settimana dopo il massacro, dove, a differenza del precedente, si documentano i massacri all’interno della Casa dei Sindacati, compiuti con un odio esasperato che ha portato gli ucraini pro-Maidan e i gruppi neonazisti ad azioni disumane.

 

*Come si leggerà a inizio video, si raccomanda la visione esclusivamente ad un pubblico adulto e preparato.

https://www.youtube.com/watch?v=iyOnb2wsEcY

Non bastano le immagini video, non basta che tutti conoscano le identità di questi criminali, sono passati otto anni da quel massacro, e per la giustizia ucraina e internazionale nessun colpevole.

 

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crowdfunding per contribuire alla stampa del libro “Attraverso il fuoco per l’eternità”.

 

N.B. Non solo Giulietto Chiesa, ma anche altri identificano nel video quelli con la fascia rossa al braccio come appartenenti ai gruppi neonazisti o come infiltrarti tra i federalisti di Campo Kulikovo. Olga, testimone oculare e odessina, mi dice che quelli nel video non sono né neonazisti e né infiltrati, ma odessini anti-Maidan che si difendevano come potevano da quelle indicibili violenze.

 

N.B. Se qualche lettore non conosce bene la storia della strage di Odessa e volesse approfondire l’argomento, che non lo faccia andando su Wikipedia. Basta leggere questo articolo per capire il suo vergognoso stravolgimento del contenuto messo in atto circa un mese.

Roberto Cursi

Roberto Cursi

Sono nato a Roma nel 1965, passando la mia infanzia in un grande cortile di un quartiere popolare. Sin da adolescente mi sono avvicinato alla politica, ma lontano dai partiti. A vent'anni il mio primo viaggio intercontinentale in Messico; a ventitré apro in società uno studio di grafica; a ventiquattro decido di andare a vivere da solo. Affascinato dall'esperienza messicana seguiranno altri viaggi in solitaria in terre lontane: Vietnam, Guatemala, deserto del Sahara, Belize, Laos... fino a Cuba.

Il rapporto consolidato negli anni con l'isola caraibica mi induce maggiormente a interessarmi della complessa realtà cubana.

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