Nel nulla politico italiano, la questione Taiwan (spiegata facile)

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Nel nulla politico italiano, la questione Taiwan (spiegata facile)

 

di Fosco Giannini - Direttore di Cumpanis

 

In Italia il "discorso" politico è in questi giorni dominato sia dall'inessenziale assoluto eletto a questione strategica (il PD si allea con Calenda: liberismo atlantista più liberismo atlantista, cosa c'è da stupirsi o da esultare?), che dal surrealismo politico opportunista spacciato per questione politica e morale (Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e Bonelli, portavoce dei Verdi, avrebbero subito voluto allearsi con il PD ma forse recedono poichè col PD si allea Calenda, "la même chose" del PD). Cioè: quando la lana caprina si vende per seta.

Mentre un "nulla" equivoco agita le acque italiane, il mondo è attraversato dal pericolo più grande del XXI secolo: la questione Taiwan, la  crisi Taiwan.

La speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, ha mantenuto la sua folle e aggressiva promessa colma di guerra mondiale ed è sbarcata a Taiwan. E in seguito a ciò la marina e l'aviazione cinesi hanno iniziato le esercitazioni militari al largo dell'isola, lanciando missili a 15 chilometri dalla costa.

L'intero sistema mediatico occidentale ed italiano sparge una fitta nebbia sulla questione Taiwan. Sparge un fitto "grigio" all'interno del quale, tuttavia, fanno passare una "verità": Taiwan non è cinese, ha bisogno della "democrazia" occidentale e gli Usa e l'intero Occidente sono al suo fianco, contro la Repubblica Popolare Cinese.

Che cosa è, di chi è Taiwan?

La sua storia è lunga e complicata.

Andiamo all'essenza: il primo ottobre del 1949 Mao Zedong proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese e il nazionalista Chiang Kai-shek, sconfitto dalla rivoluzione comunista, fugge e si rinserra a Taiwan, rubando e portando con sé le riserve auree della Cina e annunciando, urbi et orbi, che la piccola isola è la vera ed unica Repubblica di Cina (nome col quale si designa da allora in poi Taiwan).

L'Occidente imperialista, terrorizzato dalla vittoria della rivoluzione comunista nell'immensa Cina, sorregge la lucida follia del Kuomintang, il partito di  Chiang Kai-shek, volta a far credere al mondo che la piccola isola sia la vera Cina e tale sostegno sarà decisivo, per un lungo tempo, per le vittorie elettorali dello stesso Kuomintang nella ex Taiwan.

Il 1958 segnerà una fase di acutissimo scontro, anche militare, tra Formosa (il nome storico col quale Pechino chiama Taiwan) e la Cina. Con l'appoggio militare degli Usa la Taiwan del Kuomintang vince lo scontro bellico apertosi nello stretto di Formosa e questa vittoria sarà il cavallo di Troia, per la marina militare Usa, per trasformare l'isola in una base militare avanzata contro la Cina.

Opposta sarà, naturalmente, rispetto a quella del  Kuomintang e dell'Occidente, la linea della Repubblica Popolare Cinese, che proclama razionalmente se stessa - in virtù della storia generale cinese, in virtù dell'incalcolabile differenza di vastità geografica e "peso" politico internazionale tra la Cina e Taiwan e soprattutto in virtù della vittoria rivoluzionaria nazionale - quale unica e vera Repubblica di Cina. Dichiarando conseguentemente e, anche in questo caso razionalmente, illegittimo il governo nazionalista sorretto dal fronte imperialista e dal Kuomintang a Taiwan.

Per tutta la fase della Guerra Fredda continua il pieno appoggio degli Usa e dell'Occidente alle tesi del Kuomintang anticomunista di Taiwan. Finchè la forza della ragione sembra iniziare, alla fine degli anni '70, a farsi largo anche in Occidente. Sarà in questa fase, 1979, che l'Occidente assumerà (obtorto collo e con il molto malcelato intento di cambiare posizione rispetto ai propri interessi, come accadrà) la formula dell'allora segretario generale del Partito Comunista Cinese, Deng Xiaoping, di "Una Cina due sistemi", con la quale sia la Cina che l'Occidente riconoscevano l'indivisibilità della Cina e la permanenza, all'interno di essa, di diversi sistemi politico-economici: il socialismo in Cina e diverse soluzioni economiche ad Hong Kong, Macao e Taiwan, pur attraverso il riconoscimento internazionale di un'unica Cina: quella socialista con capitale Pechino.

Anche in seguito alla proposta di Deng Xiaoping di "Una Cina due sistemi" (accettata, seppur solo formalmente, dall'Occidente), l'esistenza di Taiwan come soggetto statuale autonomo non è riconosciuta dai quattro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Francia), nè dal Canada, né dagli Stati dell'Unione europea. Taiwan non esiste.

Il non riconoscimento da parte dell'Occidente e dell'Onu dell'esistenza statuale autonoma di Taiwan non spegne, tuttavia, la pulsione imperialista volta a dividere Taiwan dalla Cina. E questa pulsione si fa più forte nelle fasi più controverse e delicate: nella fase, ad esempio, del grande sviluppo economico e tecnologico di Taiwan (una delle "tigri asiatiche") e in questa fase, che viviamo, di ritorno pieno dell'aggressività politica e militare imperialista contro la Russia e la Cina.

E' in questo contesto che occorre leggere e giudicare la decisione spregiudicata e "folle" di Nancy Pelosi di sbarcare - nel bel mezzo della guerra in Ucraina e dopo i severissimi ammonimenti di Xi Jinping -  a Taiwan, per un viaggio il cui obiettivo dichiarato è stato quello di sostenere la spinta delle aree filo imperialiste di Taiwan a dividere l'isola dalla Cina.

Un obiettivo, quello generale di dividere la Cina (perseguito, oltrechè a Taiwan, anche  in Tibet e a Hong Kong e attraverso la strumentalizzazione di ogni istanza delle minoranze etniche cinesi), tanto importante, ai fini degli interessi strategici imperialisti, quanto estremamente pericoloso e denso di pericoli di guerra mondiale (il recentissimo monito di Xi Jinping a Biden, "Voi scherzate con il fuoco", si è subito concretizzato nella mobilitazione militare cinese attorno a Formosa-Taiwan prima, durante e dopo lo sbarco della Pelosi).

Una linea apparentemente contraddittoria, dunque, quella americana, tra spinte imperialiste belliche e paure, che si è evidenziata, nella sua contraddittorietà, nelle diverse posizioni assunte dai leaders Usa: la Pelosi decisa, anche contro le richieste di prudenza di diversi esponenti della Camera e forse delo stesso Biden, a sbarcare a Taiwan (col messaggio bellico: "Sono qui per portare il pieno sostegno americano alla vostra democrazia, contro l'autocrazia") e, ad esempio, la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, che ha dichiarato: "Non vogliamo una crisi con la Cina, siamo per il mantenimento dello status-quo e continuiamo a riconoscere la linea di "Una Cina e due sistemi", anche se siamo pronti a gestire qualsiasi cosa Pechino decida di fare".

Una linea generale, questa degli Usa, che nella sua apparente contraddittorietà, come dicevamo, recupera tuttavia linearità attraverso un chiaro obiettivo: evocare sì la possibilità della guerra contro la Cina e dunque la guerra mondiale, ma mettendo in campo anche elementi dissuasivi e contrari alla guerra, nel vero proposito - di fase - di tenere alta la tensione internazionale, tenere aperta la possibilità del conflitto mondiale, un contesto favorevole al complesso militare-industriale-politico nordamericano e sfavorevole alla Via della Seta e al progetto di ulteriore sviluppo cinese attraverso la pace, la distensione e la cooperazione internazionale. 

E' dai fatti concreti, quelli "dalla testa dura", che si misura oggi l'importanza, nel quadro internazionale e ai fini del cambiamento dei rapporti di forza tra fronte imperialista e fronte antimperialista, della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese.

E' dalla stessa potenza di fuoco politica, economica e militare che mettono in campo, contro la Cina, gli Usa e l'Occidente capitalista che va valutata l'importanza, per gli Stati e i popoli del mondo in via di liberazione dal dominio imperialista, del "socialismo dai caratteri cinesi".

Si dice: "Dio acceca chi non vuole vedere". E già accecate sono certamente non solo le forze trotzchiste - che quelle non ci vedono mai bene - ma anche tutte quelle forze "comuniste" e "di sinistra" italiane che oggi hanno ancora - di fronte a ciò che il mondo inequivocabilmente racconta -  la totale stoltezza di liquidare la Cina come "Paese capitalista e imperialista".

Dite la verità, "compagni": cosa sarebbe, per voi, una guerra imperialista contro la Cina: una guerra di liberazione?

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